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Loretta Napoleoni, Economia canaglia.


Loretta Napoleoni


Economia canaglia.

Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale


il Saggiatore, Milano, 2008
pp. 310
ISBN 9788842814863
Euro 12.00




Negli ultimi anni l’etica è diventata protagonista del dibattito economico. Si parla della necessità di una finanza etica, di etica degli affari, di etica del mercato. Ai buoni propositi non seguono, però, i fatti.

In Economia canaglia Loretta Napoleoni descrive il volto oscuro del capitalismo globalizzato, che, contrariamente a quanto appare, non scaturisce da un desiderio di pace, democrazia, prosperità e dialogo, ma dall’azione spietata di soggetti spregiudicati. Il mondo in cui viviamo è uno spazio virtuale, “Matrix del mercato”, che ci fa perdere il senso del reale e vivere in una rappresentazione del mondo dettata dalle regole di “banditi”, stanziali o nomadi, che operano nel mercato globalizzato. È un mondo così tratteggiato:

democrazia e schiavitù non solo coesistono, ma sono tenute insieme da quella che gli economisti definiscono una forte correlazione diretta” (p. 12); “lo smantellamento del comunismo fa piombare nella povertà la popolazione dell’ex Blocco sovietico, e le donne sono tra le principali vittime della nuova miseria […] l’unica opzione per sottrarsi alla fame è andare a letto con il nemico” (p. 22); “la correlazione diretta tra la caduta del muro di Berlino e lo sviluppo dell’industria della prostituzione in Occidente è un esempio illuminante per capire quanto possa essere rischioso sottovalutare le conseguenze di sostanziali trasformazioni economiche e sociali” (p. 29); “in Russia, la perestrojka di Gorbacëv si è tradotta a livello economico in privatizzazione […] che si rivela un miraggio […] e non porta né la democrazia né la prosperità economica, ma favorisce una generazione di banditi nomadi e il ritorno all’oligarchia” (pp. 30-37); “i medicinali contraffatti uccidono ogni anno circa mezzo milione di persone” (p. 122); “l’avvento di internet apre autostrade commerciali all’industria del porno […] la rete diventa strumento privilegiato di diffusione della pornografia” (pp. 150-152).

In seguito al crollo del Blocco sovietico molti gerarchi del regime sono diventati capimafia, arricchendosi con la spoliazione dei beni statali, mentre la maggioranza della popolazione, che prima aveva garantita almeno la sussistenza, si è trovata proiettata in uno stato di povertà totale. Si è così generato un flusso migratorio di schiavi moderni: dal mercato del sesso europeo ai lavoratori delle piantagioni africane, dall’industria dei falsi in Cina alla pesca di frodo nel Baltico.

A causa dell’entrata in vigore dell’Euro e del Patriot Act, introdotto da Bush dopo l’11 settembre del 2001, il riciclaggio di denaro sporco è stato dirottato verso l’Europa, con conseguente rafforzamento e potenziamento dei rapporti finanziari tra la criminalità americana e le mafie europee. La Cina, a differenza del blocco sovietico, ha saputo invece coniugare un governo comunista con una realtà quotidiana capitalista, dove viene lasciata mano libera agli imprenditori e alle autorità locali, intervenendo solo quando lo Stato vede minacciata la propria supremazia politica.

La tesi centrale del saggio è che la fine degli Stati nazione, ma soprattutto il crollo del blocco sovietico e la progressiva integrazione dei mercati mondiali abbia determinato la fine della “regolamentazione” del mercato, creando un’assenza di regole dove tutto è permesso. Il messaggio del libro è contenuto in particolare nel capitolo finale, in cui l’autrice prospetta come possibile forma di contrasto all’economia canaglia la finanza islamica, vista come modello di finanza etica.

La finanza islamica è basata sulla Sharia, che vieta attività quali prostituzione, gioco d’azzardo, consumo di droghe ma, soprattutto, l’applicazione di qualsiasi tasso di interesse, considerato, sempre, come forma di usura e, quindi, come peccato. Le banche agiscono secondo i precetti dettati dal Gran Consiglio della Sharia, che con i propri decreti religiosi, fatwa, regola anche la circolazione dei prodotti finanziari. Riportiamo qui di seguito alcuni passaggi significativi:

L’economia islamica, a differenza di quella di mercato, poggia sui princìpi religiosi dell’Islam” (p. 227). “Attivisti, intellettuali, scrittori e leader religiosi islamici da sempre vietano il riba, l’interesse imposto dagli usurai e dalle banche occidentali, e denunciano il gharar, qualunque forma di speculazione” (p. 228). “Alla radice della finanza islamica, dunque, c’è l’alleanza tra leader politici e capi religiosi, frutto del concetto di umma, la comunità dei credenti, centrale nello spirito dell’Islam. […] La finanza islamica è così l’unica vera forza globale che si oppone attivamente agli imprenditori dell’economia canaglia” (p. 230). “I prodotti finanziari conformi alla sharia diventano elementi fondamentali del tribalismo economico transnazionale; […] per essere venduto, un prodotto conforme alla sharia richiede una fatwa, cioè un editto religioso emesso da uno studioso islamico” (p. 238). “Con la benedizione degli studiosi di religione, i banchieri e gli investitori islamici stringono alleanze per conquistare un altro territorio profondamente ostile: la finanza globale” (p. 239).

Lo stile è avvincente e il ritmo da thriller rende la lettura delle trecentodieci pagine agevole e intrigante. Il tema trattato, però, per complessità ed importanza, avrebbe meritato maggiore precisione. Troppe le affermazioni apodittiche e ripetitive. L’autrice fa ricorso a dati e statistiche non supportate da fonti attendibili e descrive complessi fenomeni di politica economica con aneddoti e luoghi comuni. La caduta del Muro di Berlino ha rappresentato l’emancipazione di un intero popolo dall’oppressione e dall’alienazione di un sistema dispotico, moralmente ignobile ed economicamente inefficiente e non, come descrive l’autrice, la fine di una regolamentazione di mercato. Allo stesso modo Internet rappresenta qualcos’altro rispetto alla riduttiva definizione di luogo privilegiato del gioco d’azzardo e della pornografia. Un fenomeno economico-sociale come la globalizzazione dovrebbe essere declinato in modo “globale”, perché, se lo si riduce all’utilizzo della manodopera a basso costo e allo sfruttamento ed impoverimento delle popolazioni più deboli, si dimentica che essa ha radici storiche ben più profonde e di gran lunga antecedenti il capitalismo finanziario attuale, basti pensare al genocidio degli Indios da parte degli Spagnoli, sudditi di un re cattolico.

Le conclusioni dell’autrice destano non poche perplessità, almeno per due ordini di motivi: il primo concerne la ricostruzione storica proposta; il secondo è il tentativo di salvare l’uomo contemporaneo mediante una forma metafisico-religiosa. In una società secolarizzata si ripropone così la religione come instrumentum regni, ineludibile fondamento della moralità.

In relazione al primo punto, l’autrice trascura il fatto che il divieto dell’interesse è un caposaldo anche del Cristianesimo: già il Vangelo di Luca (6,34 .s) proibiva l’interesse e il Concilio di Nicea del 775, il Concilio di Lione del 1274, il Concilio di Vienne del 1310 condannarono tutti duramente l’applicazione degli interessi sui mutui, dichiarandolo peccato. Anche nella sentenza di San Gerolamo “Homo Mercator vix aut numquam potest Deo placere”1 e nel termine turpitudo, utilizzato da Tommaso d’Aquino per indicare l’avidità del lucro, risulta palese quanto la nozione di guadagno fine a se stesso fosse contraria alla sensibilità morale del Cristianesimo.

Già prima i più grandi pensatori dell’antichità, da Aristotele (che nell’Etica Nicomachea spiegava che la ricchezza può nascere solo dall’intelletto e dal lavoro umano, mentre quella prodotta dal denaro è dannosa) a Cicerone, da Seneca a Plutarco, considerarono l’interesse come una categoria morale negativa; le stesse leggi di riforma della Repubblica romana del 340 a.C. vietarono il prestito con interessi.

Anche in epoca pre-capitalistica l’impulso al lucro scellerato era peraltro ben sviluppato: dall’avidità del mandarino cinese a quella del patrizio dell’antica Roma e dell’agrario latifondista, la cui auri sacra fames regge ad ogni confronto. Lo “spirito del capitalismo” affrontato da Weber nel suo celebre studio, alle origini si fondava proprio sulla condanna del profitto scellerato:

"E così di regola non furono speculatori temerari e senza scrupoli, avventurieri economici […] o grandi finanzieri a creare questa metamorfosi [la nascita del capitalismo] la crearono uomini educati alla dura scuola della vita, riflessivi, ponderati e audaci allo stesso tempo, sobri e costanti […] con qualità etiche ben precise e molto pronunciate […] necessarie per conquistare […] l’indispensabile fiducia dei clienti e degli operai”.2

Infine, troppo spesso si dimentica il ruolo fondante che hanno le dichiarazioni dei valori di libertà, uguaglianza e di ricerca della pace contenute nella nostra Carta costituzionale e perfino nel Trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, che regolava transazioni squisitamente commerciali. Ogni epoca presenta due facce e il vedere l’una o l’altra dipende dalla posizione in cui ci si pone. È però necessario sforzarsi di analizzare la complessa realtà contemporanea da una posizione in cui si riesca a vederle entrambe. Certo è, che nessun rigore morale finalizzato alla regolazione di mercato (peraltro solo apparente) può giustificare la repressione di regimi totalitari dispotici, qualunque sia la loro origine o natura.

Il secondo motivo che lascia il lettore ancora più perplesso è, come si accennava, il ricorso all’etica religiosa. È pensabile che l’uomo del terzo millennio debba ricorrere ad una teocrazia islamica per ritrovare il proprio rigore morale? Deve davvero delegare la propria salvezza al Gran Consiglio della Sharia, che decide che cosa è giusto e che cosa non è giusto, che cosa è bene e che cosa è male, chi deve essere condannato e chi assolto?

È forse più proficuo attingere al profondo dibattito filosofico-politico moderno e contemporaneo che passa per le opere di J. Locke, J.-J. Russeau, E. Kant, A. Smith, J. Bentham, K. Marx, J. Rawls, A.K. Sen, solo per citare i più importanti. Tutti questi pensatori, al di là della loro visione non certo univoca, hanno cercato di individuare un’idea di etica il più possibile adeguata alla generale aspirazione alla giustizia, dall’istituzionalismo trascendentale di Rawls alla comparazione centrata sulle realizzazioni concrete di Sen.

Nel lavoro di Napoleoni non vi è traccia di tutto ciò e l’unica chance per la salvezza dell’uomo occidentale contemporaneo globalizzato sembra affidata ad un “Board di dotti religiosi”3 che vigila sul divieto di applicazione del tasso d’interesse, ma stabilisce la pena di morte per blasfemia o adulterio, che vieta la prostituzione, ma consente di prendere moglie con un contratto giornaliero.

Anche in politica economica, più che su buone intenzioni e su fatwa, l’etica si fonda sull’assumersi pienamente le proprie responsabilità verso gli altri: è innanzitutto un problema di assunzione in prima persona di responsabilità verso una collettività. Si tratta di quell’etica della responsabilità verso se stessi che D. Bonhoeffer contrappose all’etica delle buone intenzioni che ritrovava nel nazismo, nel comunismo, nella Chiesa cattolica Romana e che è stata causa di immani tragedie. Si tratta di quell’etica della responsabilità verso gli altri, che J. Derrida e E. Lévinas sviluppano al punto che l’etica stessa è identificata con la responsabilità verso l’altro. Non esistono sistemi economici morali o immorali per natura o per ispirazione divina, bensì sistemi economici che, per come si profilano i molteplici fini che l’uomo stesso si pone e su cui fonda la propria vita civile e il proprio destino, si determinano “sotto la guida, mai infallibile, della ragione”.4

 

Indice del volume

Introduzione
1. A letto con il nemico
2. Nessuno controlla l’economia canaglia
3. La fine della politica
4. La terra delle opportunità
5. Fingi
6. La matrix del mercato
7. Alta tecnologia: una mezza fortuna?
 
8. Anarchia sui mari
 
9. I grandi illusionisti del ventesimo secolo
10. La mitologia dello stato-mercato
11. La stravagante forza della globalizzazione
12. Il tribalismo economico

Epilogo. Il nuovo contratto sociale

Note
Bibliografia
Ringraziamenti
Indice analitico


Note al testo con rimando automatico

1 È molto raro, se non impossibile, che un mercante possa essere gradito a Dio. Si veda in proposito, per esempio, L. K. Little, Religious Poverty and the Profit Economy in Medieval Europe, Paul Elek, London 1978.

2M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, RCS libri SpA, Milano 2010, pp. 43-44. Perciò, secondo Weber, a un tale “imprenditore di nuovo stile non è concesso naufragare moralmente ed economicamente”, ivi, p. 44.

3L. Napoleoni, Speculare non conviene, in “Left”, n.42 (2008), p.26.

4 N. Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali, il Saggiatore, Milano 2006, p. 21.