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Alain Badiou, Second manifeste pour la philosophie

 

 

 

Second manifeste pour la philosophie

di Alain Badiou

 

Editions Fayard, 2009, 156 pp.,
Euro 14, ISBN 2213637962

 

 

 

A vent’anni dal suo primo Manifeste pour la philosophie,AlainBadiou pubblica un nuovo e agile saggio che si ricollega esplicitamente al precedente e che, come allora, si presenta sotto la duplice veste di utile testo introduttivo agli sviluppi più recenti del suo pensiero e di intervento militante nella congiuntura “culturale” contemporanea.

Le motivazioni che rendono necessario un Manifesto per la filosofia vengono esplicitate da Badiou nei primi due capitoli e riprese in un breve capitolo centrale che concerne l’esistenza attuale della filosofia. In queste pagine si precisa la distanza che corre tra la necessità dell’intervento odierno e quella che, invece, sosteneva il primo Manifesto: a partire dal riflusso dell’esperienza del Maggio 68 e, contemporaneamente, del “fallimento” delle esperienze comuniste e socialiste nel mondo, la filosofia si è vista sottrarre la possibilità di esistere come discorso su principi regolatori, ma, per contro, ha trovato una nuova forma di cittadinanza come sostegno della morale conservatrice e dell’opinione mediatica ad essa connessa. La filosofia, in particolare in Francia, attraverso l’opera dei cosiddetti “nouveaux philosophes”, è infatti divenuta una forma di allineamento intellettuale allo stato di cose presente, cioè, in sostanza, alla democrazia capitalistico-parlamentare occidentale e al suo discorso morale sulla pluralità e la tolleranza, nonché, infine, alla sua diagnosi sul male radicale incarnato da tutte le esperienze di trasformazione politica e sociale radicale tentate nel XX secolo. Con le parole dello stesso Badiou «oggi la filosofia, legata alla morale conservatrice, si vede prostituita a causa di una sovraesistenza vuota» (p. 83).

Il continuo richiamo alla filosofia (negli affari di stato come nelle questioni economiche, nell’etica che si vorrebbe universale come nelle riviste patinate e nei salotti “in”) ne nasconde la vera essenza che è di non potersi confondere con l’opinione, poiché il tema fondamentale della filosofia è quello della Verità e della sua eternità transmondana: la filosofia, pertanto, si sottrae al discorso mediatico e ne rappresenta un’eccezione nella misura in cui afferma l’esistenza di alcuni principi e formula «una sorta di principio dei principi: Per pensare, parti sempre dall’eccezione necessitante delle verità, e non dalla libertà delle opinioni» (p. 34).

Queste prime considerazioni costituiscono la cornice entro cui, nel testo, vengono affrontate le questioni più propriamente teoriche, cioè la determinazione di che cosa significa che una verità appaia in un mondo determinato, la pensabilità del suo carattere ad un tempo locale, situato e eterno e trasmondano e, infine, la pensabilità del supporto materiale di questa verità (un corpo) e della forma che questo assume in un mondo dato (un soggetto).

I lettori di Badiou riconosceranno in questi temi i nodi fondamentali del suo pensiero e, in particolare, la forma che ha assunto nelle ricerche più recenti, che trovano la loro espressione compiuta in Logiques des mondes. Il tema che sta al centro del Second manifeste (che è una sorta di compendio di Logiques des mondes) è quello dell’apparire nel mondo dell’essere, pensato, sulla scorta della teoria degli insiemi, come un infinito molteplice di molteplici. Mentre il pensiero dell’essere è un pensiero che non contempla il tema della relazione, la questione dell’apparire, dell’«essere-là» nei termini di Badiou, si articola proprio a partire dalla relazione e dalla differenza, dal momento che il mondo non è altro che «il sistema generale delle differenze e delle identità» (pp. 40-41) che legano qualsiasi ente a qualsiasi altro. In questo senso, un mondo deve essere pensato come una struttura d’ordine che, fondandosi su alcune leggi fondamentali, permette di pensare e di organizzare un sistema di affinità e differenze in un contesto dato, a partire da quello che Badiou chiama un trascendentale. Quest’ultimo è considerato, kantianamente, come la soluzione ad un problema di possibilità che però non deve essere collegato all’esistenza di un soggetto, ma deve essere pensato come un protocollo interno ad un mondo (cioè ad un sistema di relazioni).

Il tema del trascendentale è cruciale sotto molti aspetti, tra i quali risulta fondamentale quello legato alla funzione che permette di pensare l’esistenza di un ente, il suo essere-. Ogni cosa è nel mondo nella misura in cui è possibile stabilire un certo grado di identità tra essa e un qualche altro ente del mondo considerato. Ne discende che l’esistenza deve essere concepita come il grado di identità che un determinato ente ha con se stesso, cosicché l’esistenza non è altro che«la misura dell’identità di una cosa a se stessa» (p. 68). Dunque tanto più il grado di identità di un oggetto a se stesso è elevato, tanto più questo oggetto esiste nel mondo considerato; al contrario, un oggetto il cui grado di esistenza è il minimo sulla scala trascendentale non esiste nel mondo dato. Da ciò si deduce un corollario fondamentale: l’esistenza è un predicato logico e non ontologico, concerne l’apparire e non l’essere.

Da questo primo assunto logico sull’esistenza derivano una serie di conseguenze fondamentali per il tema del cambiamento e delle sue conseguenze, cioè per la questione di quello che Badiou definisce l’evento: l’apparire di una verità eterna in un mondo determinato. Il predicato logico dell’esistenza si fonda infatti su un «teorema metafisico» (p. 71) di importanza strategica fondamentale: «se un molteplice appare in un mondo, un elemento di questa molteplicità e uno solo è un inesistente del mondo» (p. 72). Qui si gioca una questione fondamentale del legame tra essere e apparire e dunque della possibilità che l’infinita prodigalità dell’essere possa apparire fugacemente in un mondo dato e, in questo modo, far valere l’inesauribile potenza delle sue conseguenze. Infatti, da un punto di vista logico, l’evento deve essere pensato come l’apparizione, sempre necessariamente locale, del supporto d’essere dell’apparire, le cui conseguenze consistono in un radicale rimaneggiamento del trascendentale del mondo dato, dunque in un rovesciamento della sua struttura d’ordine. Un evento si verifica sempre in un sito, definito come un molteplice che cade esso stesso sotto la misura generale dei gradi che indicano la sua intensità di esistenza elemento per elemento. Il sito non è dunque altro che l’effetto della violazione di una legge che prescrive che per ogni oggetto del mondo non esista un grado che fissi l’identità tra l’oggetto nel suo insieme e una sua parte. Ora, si può parlare di un evento solo quando questo grado di identità di sé a se stesso è massimale, in caso contrario si daranno altre forme di cambiamento, più deboli e dunque incapaci di determinare delle conseguenze nel mondo considerato.

L’evento rovescia dunque la struttura del trascendentale nel mondo considerato perché fa apparire al massimo grado di intensità ciò che prima non esisteva in quel mondo. Un mutamento di questo tipo dà vita ad un «enunciato primordiale» (p. 98) il quale assume il valore di un comandamento per tutti coloro che lo riconoscono e concorrono così alla formazione di un corpo, un corpo di verità fedele a ciò di cui l’evento ha permesso l’apparizione. Il corpo è dunque l’organizzazione di una capacità di rimanere fedele all’evento, un insieme di organi più o meno adatti per trattare dei punti in un mondo dato, cioè per prendere delle decisioni cruciali davanti alle quali si gioca la possibilità di far perdurare o di chiudere la sequenza che l’apparire di un evento ha aperto. La verità che consegue dall’evento, e che si esprime in una massima, in un principio, ha sempre un’esistenza locale e contingente. Essa esiste solo se supportata da un corpo adeguato, ma, trovando la sua ragion d’essere in una massima universale, si presenta come potenzialmente transmondana, dunque capace di essere ripresa e reinterpretata in un altro mondo, da un altro corpo, con altri organi. Questo è il motivo per cui è possibile parlare della Storia solo considerando la verità che si esprime a partire da un evento: la Storia infatti «non è illeggibile che per chi rinuncia a decifrarvi le stigmate del presente», poiché non si conoscerà la verità che «quando la si disporrà in un altro mondo, per servirsene ai fini di una nuova incorporazione [...]. Una verità non è universale che al futuro anteriore del processo corporeo che la fece apparire» (pp. 112-113). Il tema della Storia rappresenta una novità nella teoria di Badiou, il quale, nelle opere precedenti, aveva opposto al concetto di Storia quello di periodizzazione per sottolineare la profonda discontinuità tra le sequenze di verità e la loro non deducibilità da un principio primo. In questo caso l’insistenza sul concetto di Storia deve essere compresa nel suo legame con il concetto di Idea, attraverso il quale Badiou riafferma il suo platonismo materialista. L’Idea, infatti, non sarebbe altro che ciò che permette all’animale umano, qui e ora, nella contingenza della sua esistenza, del suo corpo e delle risorse a sua disposizione, di partecipare ad una verità eterna, universale e transmondana o, con le parole dello stesso Badiou, il «punto di indiscernibilità tra particolarità dell’oggetto e universalità del pensiero dell’oggetto» (p. 121).

Il tema del corpo introduce a quello del soggetto, o meglio della soggettivazione: verità e soggetto sono termini correlati che devono essere pensati come processi. Tuttavia, a partire da Logiques des mondes, Badiou tematizza, oltre all’esistenza del soggetto fedele, anche quella di altre due forme soggettive collegate al fugace apparire dell’evento: il soggetto reattivo (o reazionario) e il soggetto oscuro. Il soggetto reattivo, in una posizione strutturalmente ambigua, è costretto a negare che l’evento abbia avuto luogo, ma, al contempo deve tenerlo nella massima considerazione per “disinnescarlo”. In ambito politico il soggetto reattivo è rappresentato da coloro che, contemporanei dell’incarnarsi dell’evento in un corpo (un partito, un movimento eccetera) ne minimizzano l’esistenza, ma poi applicano una serie di deboli riforme nella speranza di limitare la partecipazione soggettiva alla sequenza post-evenemenziale. Il soggetto oscuro, invece, nega che l’evento abbia avuto luogo e mira alla distruzione del corpo post-evenemenziale: è il caso del fascismo di fronte alla massima egualitaria comunista, o quella dell’amore come forza possessiva e fusionale che nega l’aleatorietà dell’incontro e l’azzardo che l’amore rappresenta per richiamarsi ad un destino superiore o al fato.

Questa distinzione delle forme soggettive solleva tuttavia un problema di fondo riguardo al modo in cui il tema dell’evento è trattato dal punto di vista logico. Come visto, l’evento deve essere considerato nel suo apparire come la modificazione del trascendentale che regola l’ordine di un mondo dato. Badiou insiste con forza sul fatto che il trascendentale deve essere pensato in termini asoggettivi, come puro protocollo logico, tuttavia risulta oscuro il legame che corre tra i vari tipi di soggetto e le conseguenze di un evento. Il nesso esistente tra l’evento e le conseguenze del suo apparire in un mondo non sembra trovare un riscontro puntuale nella forme assunte dal soggetto come risposta a questo apparire: da un lato la trasformazione del trascendentale deve essere pensata indipendentemente da un soggetto, dall’altra l’evento produce di fatto differenti forme soggettive per le quali il mondo non può apparire allo stesso modo, cioè non può essere regolato dallo stesso trascendentale. Sembra di trovarsi qui di fronte ad un dilemma che tuttavia appare senza risposta: o deve essere postulato un legame tra soggetto e trascendentale, ricadendo così in una fenomenologia di stampo husserliano, o la contemporaneità delle diverse forme soggettive all’evento deve essere spiegata in una forma che ne renda comprensibile il rapporto con il mondo inteso come pura struttura d’ordine dell’apparire. Si tratta di un punto cruciale nel pensiero dell’ultimo Badiou che tuttavia non viene tematizzato né risolto dall’autore.

Infine, il testo si chiude con un invito lanciato alle nuove generazioni - alle quali Badiou, in tutto il corso del libro, sembra rivolgersi con estrema fiducia - a elaborare un progetto di ricerca, a svolgere un lavoro che sia per il XXI secolo quello che la filosofia di Badiou è stata per il XX: una ricerca inflessibile delle condizioni di verità, di ciò che rende possibile la filosofia, di tutto ciò che nell’arte, nella scienza, nella politica e nell’amore si presenta come rottura, apertura del nuovo, promessa che un soggetto deve realizzare nel suo mondo, tirando le fila dell’eterno che appare tra le cose dell’esistenza animale.

(recensione di Andrea Benino)

 

 

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