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Il Cristianesimo come luogo nella filosofia di Jean-Luc Nancy

Il Cristianesimo come luogo nella filosofia di Jean-Luc Nancy1

 

Räumen ist Freigabe der Orte, an denen ein Gott erscheint, der Orte, aus denen die Götter entflohen sind, Orte, an denen das Erscheinen des Göttlichen lange zögert.
Martin Heidegger, Die Kunst und der Raum

 

1. Introduzione: Heidegger e il Dio dell’ontoteología

Forse l’ontoteologia, dopotutto, non è altro che un discorso topografico. Vale a dire: dopo aver sottomesso la metafisica alla Destruktion iniziata con Essere e tempo e dopo aver rivelato che «ogni filosofia è teologia nel senso, originario ed essenziale, che il rendere concetto (λόγος) l’ente nella sua totalità interroga il fondamento dell’Essere e quel fondamento viene chiamato θεός, Dio»2, dopo tutto ciò, Heidegger comprende che pensare alla relazione tra filosofia e teologia rinvia inevitabilmente ad un luogo (wohin): «si potrà soltanto pensare, pienamente e in modo inerente a sé stessa, alla domanda: in che modo Dio entra nella filosofia?, nel momento in cui, formulandola, si sia sufficientemente chiarito il luogo in cui Dio deve entrare: la stessa filosofia»3.

In questa prospettiva, la Destruktion dell’ontoteologia, annunciata nei primi paragrafi di Essere e tempo, adotta la forma di una doppia domanda. In primo luogo, quella formulata da Heidegger, cioè, come entra Dio nella filosofia? Sarebbe a dire, come è possibile che in una riflessione sull’ente nella sua totalità che interroga il fondamento dell’essere irrompa quell’ente chiamato “Dio”? La risposta attraversa l’identificazione di quell’ente supremo con il fondamento, operazione che fa dell’ontologia un’ontoteologia. In secondo luogo, l’altra questione, sempre doppia e che rimane in sospeso è la seguente: da quando la filosofia è un luogo e che tipo di luogo è. In questo caso la delucidazione di questo discorso compromette quella topografia prima segnalata. Si tratta, dunque, di studiare un luogo, quello filosofico, nel quale irrompe Dio, contaminandolo. Come è risaputo, la meta che si prefigge Heidegger non è quella di separare ontologia e teologia, ma quella di mostrare la radice comune di entrambe: ovvero la postulazione di un fondamento come sostrato dell’ente. Se la filosofia deve essere un luogo, non può essere se non quello nel quale viene portata a termine la critica di tale presupposto e nel quale venga recuperata la “domanda sull’essere”, la cui dimenticanza può essere attribuita alla metafisica.

La filosofia pretende di svuotarsi di quel contenuto ontoteologico che ostacolava il disvelamento dell’essere. Nonostante Dio non sia un tema ricorrente nell’Heidegger anteriore alla “ svolta” (Kehre), è comunque implicitamente presente nei suoi scritti di quel periodo un allontanamento da, se non proprio un ripensamento della dimensione teologica e di quella religiosa. Ciò nonostante, anche se nell’analitica esistenziale del Dasein non trova spazio la dimensione religiosa dell’ente il cui modo di essere è quello dell’interrogare (la qual cosa confermerebbe la necessità di escludere dal pensiero l’elemento teologico), in altri testi contemporanei ad Essere e tempo si trova un elogio significativo del cristianesimo che, come vedremo più avanti, entra in sintonia con un altro molto simile che possiamo trovare nell’opera di Jean-Luc Nancy. In Dell’essenza del fondamento Heidegger sottolinea in che modo il cristianesimo abbia introdotto «una nuova comprensione ontica dell’esistenza»4, in cui il concetto greco di Kóσμος («il Come nel quale l’ente è nella sua totalità») comincia a designare un determinato modo fondamentale dell’esistenza umana caratterizzata dall’essere «il come di un modo di pensare che ha voltato le spalle a Dio». Il Kóσμος cristiano è una posizione dell’uomo davanti al cosmo, non teologica bensì antropologica, nella quale risuona l’eco del concetto di “apertura” heideggeriano, visto che non si tratta di un mondo-cosmo inteso come la totalità dell’ente, ma di un mondo come carattere esistenziale del Dasein, come uno dei suoi modi esistenziali.

Anche se può sembrare paradossale, ciò che si è appena detto apre una via d’uscita all’elemento teologico partendo dalla cosmologia cristiana ed invita a riflettere sulla possibilità di una religione che non si appoggi su un fondamento ontoteologico. Si può pensare ad una religione, più concretamente ad un cristianesimo, che non si basi su un Dio in quanto causa prima? Si può concepire un Dio al di fuori dell’ontoteologia? Con questa domanda si apre una delle prime lezioni del corso che Emmanuel Levinas dedicò alla questione di «Dio e l’ontoteologia»5. La risposta che Levinas offre è affermativa: sì, si può pensare ad un Dio che stia al di fuori dell’ontoteologia nella misura in cui essa venga subordinata ad un’etica che superi la differenza ontologica – è oltre l’essere – e il cui centro venga occupato dalla relazione con il prossimo dalla quale deriva la responsabilità verso gli altri. In questo dialogo fra l’Io e l’Altro, nel quale non esiste mai un’uguaglianza tra entrambi i termini – poiché la responsabilità nasce precisamente dall’incommensurabilità di quell’Altro che fa di me stesso il suo ostaggio – se ne presenta un terzo, situato al di là dell’essere e al di fuori della distinzione essere/ente, identificabile con l’infinito e che non è altro Dio se non quello che è fuori dall’ontoteologia6. Un Dio che non può essere pensato o, per lo meno, non se si parte da una razionalità (λόγος) che pensa a partire dall’ente e dall’essere (ontologia). In Levinas, così come in Heidegger, la difficoltà risiede nel sottrarre Dio a quella ontoteologia per poter penetrare così in un nuovo spazio, in un luogo inedito, in quell’“oltre l’essere” levinasiano o quel “pensare senza Dio” che, dopo aver abbandonato il Dio della filosofia, non essendo più causa sui, «è più vicino al Dio divino»7, a quel Dio il cui arrivo, ne riparleremo più avanti, Heidegger si apprestava a preparare, come diceva nella famosa intervista a Die Spiegel, quel Dio, l’unico o l’unica cosa “che può salvarci”.


2. Nancy e i luoghi divini

Non abbandoniamo ancora questo lavoro topografico di ricerca dei luoghi. Di luoghi che ormai non sono più fondati dagli dei che si costituiscono come il loro fondamento. Di luoghi nei quali entrino ed escano gli dei ma senza rimanervici. Di luoghi che non appartengono alla sfera ontoteologica ma che invece appartengono a quel “Dio divino” del quale parlava Heidegger. Infine, di luoghi “divini” nei quali il divino non sia una sostanza (oΰσία) intesa come «l’essere di un ente che è in sè stesso»8, ma un modo di rapportarsi, di (ri)legarsi. Luoghi divini, Des lieux divins. Così si intitola un’opera di Jean-Luc Nancy pubblicata nel 1987. In questo caso, la data di pubblicazione è rilevante poiché si potrebbero vedere in essa le basi di quel progetto filosofico monumentale che Nancy porta avanti da più di tre lustri e che riceve il nome di “decostruzione del cristianesimo”:

déconstruire le christianisme ne veut pas dire se contenter de la critique de l’illusion religieuse, comme celle de Marx, de Freud, mais interroger ce que peut-être nous pouvons maintenant découvrir au fond du christianisme, à savoir: retrouver le caché au coeur de la construction chrétienne elle-même théologique, dogmatique, ecclésiastique, en se demandant si par là, il n’y pas une ressource qui n’est pas religieuse, mais encore plus profonde que ça, ni philosophique, ni religieuse, mais qui peut-être serait la grande ouverture de la pensée de l’Occident.9


La decostruzione del cristianesimo mantiene una stretta somiglianza con la Destruktion heideggeriana. Entrambe non sono altro che atteggiamenti, sempre positivi (cfr. Essere e tempo, § 6), nei confronti della tradizione, che non mirano alla sua distruzione ma che vogliono recuperare ciò che originariamente c’era in essa e che, dopo secoli di dominio dell’ontoteologia, è rimasto sepolto nell’oblio: la domanda sull’essere (Heidegger) e nell’origine dell’apertura del pensiero occidentale (Nancy). Nel caso di quest’ultimo, la decostruzione del cristianesimo è una «recherche consistant à désassembler et à analyser les éléments constitutifs du monothéisme et plus directement du christianisme, donc de l’Occident, afin de remonter (ou d’avancer) jusqu’à une telle ressource qui pourrait former à la fois l’origine enfouie et l’avenir imperceptible du monde qui se dit ‘moderne’»10.

Come proprio Nancy ha riconosciuto, il suo progetto decostruttivo si intravede in Être singulier pluriel (1996), ma non raggiunge il suo intero sviluppo fino a La création du monde (2002) e soprattutto fino ai due tomi della Déconstruction du christianisme (1. La Déclosion, 2005; 2. L’Adoration, 2010), nonostante che le ramificazioni si estendano ad un buon numero di articoli e ad opere come Visitation (de la peinture chrétienne) (2001) e Noli me tangere (2003). Il punto di partenza di questo progetto è l’affermazione heideggeriana che ogni ontologia è in fondo un’ontoteologia. La critica nei confronti di una “ontologia sostanziale” dovrebbe estendersi coerentemente a quei presupposti teologici che dipendono da essa, poiché, in fin dei conti, il Dio delle teologie e delle religioni è lo stesso Essere trascendentale e sostanziale dell’ontologia. In entrambi i casi, quell’istanza si presenta come il fondamento di tutto ciò che esiste.

Nella sua opera, specialmente in quello che si conosce come il “primo Heidegger”, il filosofo tedesco si dedica a reinterpretare concetti chiave della metafisica, tali come verità, libertà, mondo, senso o esistenza, spogliandoli – o decostruendoli – del loro (sotto)fondo sostanziale. Restava in secondo piano tutto ciò che è in rapporto alla teologia che è embricata alla radice della metafisica. Il progetto della Decostruzione del cristianesimo prende il testimone lì dove Heidegger lo ha lasciato: nella critica di quei presupposti metafisici che stanno alla base del cristianesimo e, per estensione, delle tre grandi religioni monoteistiche. Il procedimento seguito da Nancy per portare a termine tale progetto, consiste nella scelta di un concetto capitale per il monoteismo, come sono ad esempio quelli di rivelazione, resurrezione o creazione, per poi svuotarlo del suo contenuto sostanziale, apprestandosi così a una nuova lettura in chiave ontologica, partendo dall’ontologia dell’essere singolare plurale o dell’essere-con che caratterizzano questo filosofo11. Ognuno di questi termini che viene decostruito dalla decostruzione del cristianesimo può essere assimilato ad un concetto abituale nell’opera di Nancy. Così, la creazione ex- nihilo è, per come viene reinterpretata da Nancy, una nuova formulazione della es-posizione, parola che rinvia all’e-sistenza heideggeriana: «“Nihilisme”, en effet, veut dire: faire principe du rien. Mais ex-nihilo veut dire: défaire tout principe, y compris celui du rien. Cela veut dire: vider rien (rem, la chose) de toute principialité: c’est la création»12. E l’incarnazione, propria del cristianesimo, si avvicina ad una nozione dell’essere-in-comune o partage che ha poco a che vedere con la figura di Gesù Cristo e che invece ha a che vedere con l’e-sistenza e con l’essere-nel-mondo (In-der-Welt-sein) heideggeriani: «nos savons bien que le coeur de la théologie chrétienne est évidemment constitué par la christologie, que le coeur de la christologie est la doctrine de l’incarnation, et que le coeur de la doctrine de l’incarnation est la doctrine de lhomoousia, de la consubstantialité, de l’identité ou communauté d’être et de substance entre le Père et le Fils»13. Di fronte a ciò, Nancy propone un nuovo senso per questo mistero: «incarnation et resurrection déclinent ensemble une seule et même pensée: le corps est l’événement de l’esprit. Son avènement, sa venue au monde, et sa survenue, son irruption et son passage. Cela veut dire aussi: l’esprit en se tient pas hors du monde, il s’ouvre au milieu de lui»14.

Qualcosa di simile succede con  “categorie cristiane come peccato o fede. Quest’ultima probabilmente è una delle più presenti nell’opera di Nancy degli ultimi dieci anni15, e viene descritta come «amour et courage, et/ou comme pensée de l’étant en totalité en tant qu’“oeuvre” détachée de tout ouvrier»16. In quella che potremmo denominare provvisoriamente la “religione ontologica” di Nancy – più avanti torneremo a parlarne – la fede non è, come la credenza, un’adesione senza prove ad un senso determinato (Idea, sostanza, Dio), ma un’apertura verso qualcosa che la trascende e che non è nient’altro che il nulla, un’inoperosità in cui una finitezza comunica – questo è il laccio religioso – con un’infinitezza che non si posizionerebbe oltre quella, come credeva Levinas, ma in questa (transimmanenza), senza produrre nulla: né salvezza, né trascendenza, né fecondità17. L’elenco dei termini cristiani sottomessi ad una decostruzione è talmente vasto che il percorrerlo va oltre il proposito di questo articolo. Nonostante tutto, ci accontenteremo per lo meno di segnalare in che modo Nancy scopra in questi ultimi un elemento in comune. Egli sostiene che ognuno di loro, svincolato da una metafisica della presenza che, unendosi alla teologia che fa di Dio il fondamento (ousìa) arrivi ad essere ontoteologia, si trasforma nell’indice di un lavoro etico: non fare della religione l’adorazione di un Senso, di un ente supremo o causa sui, ma trasformarla in una prassi in rapporto ad un senso al quale non bisogna legarsi e che non deve nemmeno essere disvelato, ma di fronte al quale si deve rimanere aperti18. Ciò è quanto rivela la rivelazione: che non esiste nulla di rivelabile, salvo la stessa rivelazione19. E ciò, aggiunge, è (l’)adorabile.

Come si può osservare, nella decostruzione del cristianesimo tanto Dio quanto la costellazione dei concetti creati a partire da esso perdono il loro fondo esistenziale se vengono letti secondo la prospettiva dell’ontologia di Nancy. Il risultato di tutto ciò è un allontanamento della sfera del divino dal pensiero, dato che questo cerca sempre il che della rivelazione, il senso che si dis/ri-vela e non il come. Dio non può essere oggetto di conoscenza, cosa per cui le prove della sua esistenza incorrono inevitabilmente nell’assurdo. La teologia viene chiamata a perpetuare lo smarrimento della metafisica quando, trasformata in ontoteologia, indaga sul fondamento ultimo dell’ente nella sua totalità e lo situa in un Essere supremo. Nella filosofia di Nancy, Dio può unicamente essere sentito in quanto presenza che si offre non ad essere colta in qualsiasi modo (intuitivo, empirico, ecc.), ma ad essere sentita.

Di conseguenza, questo lavoro etico verso il quale veniamo chiamati, ha bisogno di un nuovo rapporto con il divino. Ovviamente non si tratta di un’etica nel senso levinasiano, cioè di un’etica che precede l’ontologia e secondo la quale il rapporto tra l’Io e l’Altro, in cui si apre l’Infinitezza, trascende l’ontologico in quanto si ritrova oltre l’essere. La prassi etica contenuta nella decostruzione del cristianesimo invece è inserita all’interno di un pensiero ontologico che pensa, con Heidegger, che all’essere debba essere riconosciuto il suo carattere verbale. Non l’essere (sostanza) ma essere (verbo transitivo); essere, in termini di Nancy, “singolare plurale” o “essere-con” (être-avec), per mezzo dei quali Nancy corregge Heidegger in un punto essenziale; il con, avec o mit nasce con il Dasein, non dopo di lui, come sembrerebbe essere affermato in Essere e tempo: il Dasein è sempre Mitsein, cioè, se il Dasein è l’esser ci (da), quel ci, quello spazio o apertura è, necessariamente un “essere-gli-uni-con-gli-altri” senza che ci sia una fusione, comunità o comunione tra di loro. Ancora una volta il cristianesimo deve vedersela con un pensiero che spoglia i suoi elementi di quel fondo sostanziale. Ciò che unisce i cristiani, ciò che li accomuna, non è il fatto di condividere (partager) il corpo e il sangue di Cristo, di Dio incarnato, ma il fatto che non ci sia proprio nulla da condividere: comunità senza comunione.

La decostruzione del cristianesimo, questa prassi di svuotamento del fondamento divino, si articola in due momenti; in operazioni simultanee. La prima è la dischiusura che designa «l’ouverture d’un enclos, la levée d’une clôture»20. La seconda è l’adorazione. Una volta che si impedisce la chiusura necessaria affinché possa essere delimitata quella sostanza che agisce come fondamento di ciò che esiste, viene aperta al pensiero, alla filosofia liberata dall’ontoteologia, proprio la possibilità di pensare a quell’apertura che assume la forma di una presenza. Or dunque, non si tratta della presenza dell’Essere o dell’Essere come presenza ma «c’est la présence, non de quelque chose mais de l’ouverture, de la déhiscence, de la brèche ou de l’échappée de l’ ici” même»21.

In definitiva, il cristianesimo non deve essere eliminato o criticato come se fosse un oppiaceo per il popolo. Deve, in ogni caso, essere pensato, poiché l’adorazione è proprio questo, un pensiero: «la pensée, en effet, en se confond ni avec l’activité intellectuelle - établissement de rapports, invention de nominations (concepts) et d’arguments (raisons) - ni avec une activité intellectuelle (jugement, appréciation, évaluation). La pensée est un mouvement des corps: elle commence dans ce pli nerveux du corps qui l’expose à l’infini d’un sens, c’est-à-dire d’une effectuation par les autres corps»22. Con ciò sembra che si sia risposto a quell’interrogativo lanciato da Levinas: è possibile pensare a Dio al di fuori dell’ontoteologia? La risposta proposta da Nancy – Dio può essere pensato a partire da quel “movimento dei corpi – non soddisferebbe affatto Levinas, poiché non rimanda a un oltre l’essere o a un altro modo che l’essere, ad una Totalità che si rivela nel rapporto intersoggettivo originario. Però è più fedele al precetto heideggeriano di “pensare a Dio a prescindere dal Dio della filosofia (dell’ontoteologia) per avvicinarsi al “Dio divino.

Le difficoltà, che sfiorano l’aporia, di tutta questa architettura chiamata la decostruzione del cristianesimo, sono state messe in rilievo in più di un’occasione. Per incominciare e, come ha sottolineato bene Derrida in una discussione con lo stesso Nancy, per una filosofia che ha accettato la critica della soggettività cartesiana sviluppata da Heidegger in Essere e tempo, risulta piuttosto problematico identificare l’agente che deve portare a termine suddetta decostruzione. Si tratta di un soggetto? Di che tipo? Come può originarsi da quello un’etica dal momento che Heidegger, nel quale Nancy ripose tutta la sua attenzione, rifiutò più volte il fatto che dall’analitica esistenziale potesse nascere un’etica?

Qui prend en somme aujourd’hui, qui prendrait la responsabilité d’une déconstruction du christianisme? Pour suivre le fil de ce que tu disais tout à l’heure, il est évident que la responsabilité, si elle est illimitée, c’est qu’elle n’est pas simplement la responsabilité d’un sujet conscient, libre, déterminé, etc., mais qu’elle vient de plus loin ou de plus haut, elle est plus vieille que moi; mais aussi le «devant qui» j’ai à prendre ma responsabilité n’est pas encore formé. Celui qui t’adresse l’appel n’existe peut-être pas. Il est indéterminé, il est, peut-être, à venir, justement.23

Derrida colpiva nel segno. Se la decostruzione del cristianesimo è, come si è visto, una prassi da cui deriva una responsabilità, è necessario chiedersi a chi si rivolge la sua domanda. E nel caso in cui fosse co-originaria a me stesso, come Derrida sembra suggerire, non si starebbe subordinando nuovamente l’ontologia all’etica? La risposta a queste domande conduce a uno dei tratti caratteristici della decostruzione del cristianesimo: il suo carattere “autotelico. L’affermazione di una sostanza o di un ente supremo che agisce come fondamento dell’ente nella sua totalità comporta la sua negazione; si potrebbe dire che il teismo va unito dialetticamente all’ateismo: «la philosophie est athée dans son principe, et avec elle toute l’onto-théologie, dans laquelle “dieu” est le nom putatif ou le chiffre commode d’une nécessité du donné, le nom postulé par le désir de rendre raison de la contingence du monde»24. Negare Dio, come fa l’ateismo, significa rifiutare la posizione di un soggetto del mondo o della totalità dell’ente. Ma il principio dal quale partono entrambi, teismo ed ateismo, è lo stesso. Per questo la metafisica in quanto ontoteologia doveva finire inevitabilmente per affermare la morte di Dio: qualsiasi delimitazione di una sostanza è incapace di impedire che ci sia al suo interno, sicuramente intatto, immutabile, identico, ecc., un movimento di apertura (fessure o interstizi dei testi, come direbbe Derrida), da dove possa scappare il Senso. È quello che Nancy spiegava quando si riferiva al soggetto cartesiano, paradigma del subjectum quod substat : «nous ne proposons rien d’autre que de vérifier l’énoncé suivant: l’instauration cartésienne du Sujet correspond, par la plus contraignante nécessité de sa propre structure, à l’épuisement instantanée de ses possibilités d’essence. […] L’érection et l’inauguration mêmes du Sujet ont provoqué l’effondrement de sa substance”25.

Da quanto si è detto, se con la morte di Dio finisce l’ontoteologia o almeno così pensano Heidegger, Levinas e Nancy, tale fine significa, in realtà, il suo culmine. Il teismo era destinato fin dalla sua postulazione ad essere negato dall’ateismo in modo tale che entrambi i movimenti sembrano le due facce della stessa medaglia. Bisogna pensare, e di ciò si occupa Nancy, a cosa rimane nel luogo che occupavano gli dei dopo essersi ritirati, dopo il loro svuotamento in quanto significazione. In tutti i modi, il fatto importante è quello di mostrare come il teismo porti in sè il germe dell’ateismo e come il cristianesimo sia destinato ad essere decostruito, alla sua dischiusura. Se c’è qualcosa di simile ad un dio, ad uno spazio della divinità, deve essere proprio quello dell’apertura originaria: così come, infine, qualunque gesto di limitazione rende possibile, dal momento in cui viene tracciato, la sua apertura. Forse non è questo nient’altro che una sostituzione: la pienezza del Dio del monoteismo per quella dell’apertura alla quale dovrebbe sottomettersi ?, obietta Derrida26. E qui, per la prima volta, il pensiero di Nancy corre il rischio di incagliarsi. Fino a che punto la preminenza dell’apertura non può non trasformarsi in un nuovo fondamento, al quale si subordinerebbero i regimi etico, estetico e politico ? In questo senso si muovono le opportune osservazioni delle ricerche di Francis Guibal sulla complessa relazione fra il pensiero di Jean-Luc Nancy e di Emmanuel Levinas. Guibal prende uno dei testi nei quali Nancy stabilisce con maggior chiarezza e rotondità la sua divergenza nei confronti della filosofia levinasiana, L’amour en éclats. Lì Nancy esamina come in Levinas l’amore è orientato ad una meta teleologica27, ad una trascendenza, all’Infinito, il cui punto di partenza è il volto dell’Altro, in modo tale che questi si trasforma nel preminente ed originario (è la significazione” precedente al senso”, il “Dire che antecede il “Detto), cosa che fa dell’amore uno strumento per la rivelazione della trascendenza in quel volto, un mezzo destinato a sparire. Nancy non lascia spazio ai dubbi : «je ne peux, pour ma part, saisir la relation avec le visage que comme seconde et constituée»28. Guibal si domanda allora: «mais cette secondarisation en renvoi-t-elle pas implicitement à une autre archè?»29.

Entrambi, Derrida e Guibal, sono d’accordo nel segnalare la presenza di un elemento che funge da fondamento nella filosofia di Nancy. Derrida lo nomina chiaramente: si tratta della nozione heideggeriana di apertura. Guibal non si spinge così lontano, ma nel suo testo si introduce l’idea che l’ontologia de gli-uni-con-gli-altri nancyniana abbia a che a fare con quel con, un nucleo sostanzialistico che finirebbe col frustrare il tentativo di apertura della sua filosofia. Non è nostro proposito determinare chi di loro abbia ragione, giacché per incominciare non è una questione che riguardi la ragione, quel logos che, come abbiamo visto, tende a vincolarsi, fin dalla sua nascita, ad una sostanza permanente ed identica a sé stessa, si chiami questa Essere o Dio. Invece vogliamo segnalare il sottofondo di quei dubbi provocati dalla decostruzione del cristianesimo, nel quale, dal nostro punto di vista, Heidegger agisce come un ospite inaspettato che rende difficile il proposito di Nancy. Questo non vuol dire che il suo intento sia impossibile o che sia condannato all’aporia. Al contrario, ciò che si dovrebbe sottolineare è in quale modo Nancy, volendo procedere sui sentieri indicati, non ancora percorsi, dal filosofo tedesco, si trovi in alcune occasioni obbligato a fare salti mortali che lo portano a sfiorare paradossi e apparenti incongruenze, come quello che lo condurrebbe a segnalare un archè per la sua filosofia dell’essere-singolare-plurale che si caratterizza proprio per il fatto di assumere l’impossibilità che ci sia una ousìa come origine o fondamento di ciò che esiste.

Prima di delucidare questi argomenti, o come via di accesso ad essi, sarebbe forse consigliabile introdurre un nuovo attore in scena, un testo di Nancy piuttosto antico, poco menzionato e che di frequente viene ignorato quando si analizza che cosa sia la decostruzione del cristianesimo. Si tratta di Des lieux divins (si era già detto che si sarebbe parlato soltanto di luoghi), pubblicato da T.E.R. nel 1987. È un libro enigmatico, dal momento che nemmeno lo stesso Nancy allude ad esso quando sviluppa la sua decostruzione, come se il proposito di questo libro rimanesse fuori da quel progetto decostruttivo. Cosa dice dunque Nancy in Des lieux divins? Potrebbe quest’ultimo contenere qualche idea che si oppone alla decostruzione del cristianesimo? O forse il suo oblio obbedisce unicamente al fatto che è soltanto uno schizzo troppo titubante il cui risultato lascia insoddisfatto il suo autore?

Ciò che cercheremo di dimostrare più avanti sarà che, da una parte, quest’opera accoglie i principi della decostruzione del cristianesimo, già esposti, comprese le idee di dischiusura e di adorazione. Dall’altra parte, e così come nei testi degli ultimi quindici anni, Nancy difende in Des lieux divins un lavoro etico vincolato alla sua concezione del senso e del mondo, che nel caso specifico di questo testo, precedente ai grandi sviluppi nancyniani di entrambe le questioni, come Le sens du monde (1993), Une pensée finie (1990) o La pensée dérobée (2001), doveva adottare, obbligatoriamente, un vocabolario più proprio del Nancy degli anni ‘80, per il quale termini come communauté o partage erano frequenti e non così sospettosi come gli sarebbero sembrati col passare degli anni30. Ciò nonostante, anche se vengono usati termini diversi, il proposito di entrambi i progetti, quello della decostruzione del cristianesimo e quello che potremmo chiamare dello svuotamento (évidement) dei luoghi divini, è identico. E, inoltre, il secondo di questi in realtà sarebbe il primo momento di una medesima operazione. Quali sono, quindi, quei “luoghi divini” che dovrebbero svuotarsi?

Des lieux divins: des dieux et de leurs lieux; des places qu’ils ont abandonnées, et de celles où ils se cachent; des dieux sans feu ni lieu, des dieux nomades; de l’ici, où les dieux se trouvent aussi; des lieux communs de Dieu; des dieux communs à tous les lieux, à quelques lieux, à aucun lieu; de Dieu: en quoi il est un topos; topiques et atopiques divines; des dieux et des lieux: traité de la paronomase divine; où trouver dieu? en quel lieu?31


3. Verso un’ontologia dell’abbandono

Si può notare, in un modo ancora più chiaro di quanto non fosse prima, che la decostruzione del cristianesimo è un discorso sui luoghi. Luoghi abbandonati o di esseri/dei abbandonati o in abbandono. L’essere abbandonato: così si intitolava un articolo di Nancy apparso nel 1981 che, come lui stesso riconobbe32, segnò la sua rottura con Philippe Lacoue-Labarthe, l’abbandono delle questioni politiche e l’introduzione nel suo lavoro della filosofia heideggeriana. Heidegger, la cui opera Nancy già conosceva fin dalla metà degli anni ‘6033, sarà una costante nella sua filosofia, fino al punto che può affermarsi che, salvo Jean-Luc Marion, non c’è nell’ambito francese un altro pensatore che abbia assimilato con tanta costanza, rispetto e fedeltà, non scevra di critica, l’eredità heideggeriana. Da tutto ciò provengono, torneremo poi a parlarne, i problemi individuati da Derrida e Guibal, fra gli altri, che di fatto hanno più a che vedere con la posizione che entrambi mantengono nei confronti di Heidegger.

Si è giá visto che l’unica cosa che si può fare con l’Essere è pensarlo come verbo transitivo (non l’essere, ma “essere, “essere singolare plurale). Questo valore verbale scioglie il suo carattere sostantivo, impedendo che diventi il fondamento sostanziale sul quale si basa l’ontoteologia. Da tutto ciò, oltre a proporre, seguendo Heidegger, il nuovo pensiero sull’essere, Nancy preferisce “de-sostanzializzare l’Essere della metafisica. E questo implica siffatto abbandono: «il [le dieu] est abandonné - ou bien, il nous abandonne. Il nous abandonne à notre philosophie et à notre religion de la mort de Dieu»34. Questo abbandono ha a che vedere con quell’ateismo consustanziale (mai meglio detto) al teismo. La partenza del Dio pre-supposto come fondamento dell’ente nella sua totalità è iscritta in quest’ultimo fin dalla sua creazione.

Così come Dio, anche l’Essere, se è, deve essere in quanto abbandono, mai come presenza o persistenza. Quest’idea, introdotta da Nancy nei testi degli anni ‘80, viene ripresa all’interno del progetto della decostruzione del cristianesimo con un altro nome: il ritirarsi degli dei35: «le sens, qui me paraît être l’élément même de toute cette tradition [la tradizione dei tre monoteismi], en désigne pour moi pas autre chose que la levée de cet envoi, de cet appel, venant et faisant signe vers la présence en tant qu’absentée, pour se contenter, maintenant, de le dire de cette manière. C’est cela l’enjeu du retrait des dieux: le sens d’un absentement»36.

Quindi il senso fa un “segnale” ad una presenza che si è assentata, quel Dio che si è ritirato. Di questa divinità che si è ritirata e la cui assenza deve essere ri-tracciata (di nuovo l’imperativo etico nancyniano) rimane il suo andare e venire, la sua non-fissazione e il suo non-fondamento, infine, il suo passare. Nancy ripete insistentemente quest’idea: Dio non è presente, come voleva il teismo, né assente, come sostiene qualsiasi ateismo. Lui è un passaggio (pas). In nessun altro testo come in «D’un Wink divin» si rende più esplicito il riferimento ad Heidegger. Quel Wink lo prende Nancy da un frammento dei Beiträge zur Philosophie (§ 279) di Heidegger nei quali dice a proposito dell’ultimo dio: «ultimo dio: trova il suo dispiegamento essenziale nel segno (cenno) (im Wink), l’accesso e l’assenza dell’arrivo (dem Anfall und Ausbleib der Ankunft), così come nella fuga degli dei passati e nella loro segeta metamorfosi» 37. Non risulta strano che Nancy fissi la sua attenzione in questo strano frammento. In esso il filosofo tedesco sembra descrivere il paesaggio così com’è dopo la ritirata degli dei. Ciò che scopre in esso è un segnale, un segno (una strizzata d’occhio, come dirà Derrida) grazie al quale quell’ultimo dio” può dispiegarsi. Nancy lo interpreta nel seguente modo: «c’est bien pourquoi il winkt: il déclenche par un signal au lieu de, et avant d’établir dans une signification. Le souverain ouvre du sens possible, tout autant qu’il ferme ou suspend les sens déjà disponibles»38. L’ultimo dio che agisce qui come quel sovrano, segnala, cioè, schiude il senso e impedisce che questo si coaguli in forme di significazione, che poi un’ermeneutica dovrebbe segnalare ed enumerare per poterle in questo modo sottomettere al suo controllo39. Per questo non si ferma nel suo passare, come nemmeno, e a differenza degli dei respinti dai luoghi divini o dalla Ragione hegeliana, esce da sé o ritorna in sé. Come potrebbe farlo se, giustamente, quel se stesso, è ciò che viene messo in questione? Dio, il sovrano, l’ente supremo, che è quello che è. No, l’ultimo dio heideggeriano/nancyniano non è il Dio dell’ontoteologia. Senza dubbio, è l’idea di un Dio sprovvisto di essenza (ousìa) divina e che, di conseguenza, ormai non può più occupare il luogo del fondamento: e questa è una delle tesi più potenti della decostruzione del cristianesimo.

Questo è ciò che resta una volta che gli dei sono andati via: un segnale, un gesto; la traccia (trait) della sua ritirata (retrait). Non resta nemmeno un luogo vuoto, quello che un tempo occuparono gli dei, giacchè «le pas est le dieu divin, le seul, le lieu où la force du passant se signale et s’excède»40. Il passaggio è il dio “divino, l’“ultimo dio di cui parlava Heidegger e che, per mezzo di quell’idea di Wink, Nancy relaziona con il concetto heideggeriano di “evento (Ereignis): «ce que, sans doute, il faut entendre, c’est que le dieu est geste: non pas être ni étant, mais geste en direction de l’inappropriable être de l’étant (une appropriation que Heidegger nomme Ereignis, et dont il faudra plus tard introduire l’analyse en tant que c’est vers elle que le Wink winkt, que c’est en elle que la différance diffère et que, peut-être, elle ne consiste en rien d’autre qu’en clin d’oeil»41. Il passaggio dell’ultimo dio in definitiva è l’evento che apre il Senso e dissemina l’ordine, sempre gerarchico, dei significati. È anche ciò che permette la ritirata degli dei “non divinidalla metafisica. La decostruzione del cristianesimo include quindi l’accoglienza dell’ultimo dio.

Quale ospitalità richiede una simile accoglienza? E dove, in quale luogo alloggia? Quale parola, quale invocazione, quale segno lo invita a passare? Come far sì, infine, che quell’evento abbia luogo? Nancy non ha dubbi: è necessario approfondire l’Ereignis heideggeriano. Il problema è che «Heidegger a laissé en partie suspendue l’explication ou l’exploration de l’Ereignis»42. L’evento, come lo interpreta Nancy, è un sov-venire (survenue): «ce qui advient dans l’Ereignis, c’est peut-être que l’advenir lui-même advient à soi, s’approprie comme présence. Mais cela ne peut advenir que sur le mode du survenir. L’advenir s’advient en survenant, dans le battement du survenir. Ce serait ça, le coeur de l’être - ou sa liberté (le coeur n’est-il pas pour nous synonyme ou métaphore de la liberté dans tous ses états?). L’ouverture d’un monde, comme telle et absolument, n’est pas pensable hors de la liberté de la survenue»43.

Ritorniamo quindi alla critica di Derrida. Infine, l’evento, l’Ereignis, non è nient’altro che l’apertura. O, se vogliamo essere più precisi, il mondo come apertura. Di nuovo il pericolo di sostantivizzare tale evento, facendo di quell’apertura un fondamento. In Nancy l’ambito di ciò che avviene è per definizione imprevedibile ed incalcolabile, è, per usare le sue stesse parole, una “sorpresa, la qual cosa a priori sembrerebbe avvicinarlo alla nozione derridiana dell’“av-venire, di quel dono impossibile che non può farsi presente e che invece è possibile44. Il dono è impossibile, non può essere possibile se non come impossibile. Non c’è evento che abbia maggior carattere di evento che un dono che rompe lo scambio, il corso della storia, il cerchio dell’economia. Non c’è possibilità di altro dono che quello che si presenta come non presentandosi, è l’impossibilità stessa. Si può comprendere allora come quel sottofondo messianico così caratteristico in Derrida è ciò che lo porta a mostrarsi reticente davanti ad un evento come quello di Nancy che, nonostante sia così imprevedibile come il suo “av-venire, si avvicina troppo alla postulazione di un fondamento (l’apertura) e allo sviluppo di un’etica che deriva da quest’ultimo e che lascia in secondo piano ciò che per Derrida deve essere prioritario in ogni riflessione etica: l’idea di ospitalità. Per questo motivo, come lui stesso confessa45, la sua filosofia è in questo senso più vicina a Levinas che ad Heidegger, al contrario di quanto succede a Nancy. L’ospitalità, spiega Derrida, non consiste semplicemente nel ricevere ciò che si è capaci di ricevere. Da ciò deriva la sua affinità con Levinas, giacché sostiene che il soggetto è un anfitrione che deve accogliere l’infinito oltre la sua capacità d’accoglienza46.

Dio, l’“ultimo dio, non deve essere accolto poiché non è un dono, nel senso che Derrida conferisce a questo termine, bensì un abbandono. Con ciò non affermiamo che esista un’opposizione fra entrambi i concetti bensì una differenza: il dono è l’impossibile, ciò che non può farsi patente se non vuole sparire (questa è la logica del dono), mentre l’abbandono non solo è possibile ma apre anche una prassi, la prassi dell’apertura, del mondo come apertura. Probabilmente in questo risiede l’origine delle divergenze circa la posizione di Nancy che abbiamo commentato. La filosofia di Nancy, nella misura in cui ha introdotto un maggior numero di concetti heideggeriani, sempre passati al setaccio e liberati quindi da ogni possibile carica sostanziale – come fa per esempio con il Mitsein – ha anche ereditato buona parte delle difficoltà e aporie dell’opera del pensatore tedesco. La decostruzione del cristianesimo risulta problematica per Derrida o Guibal per la presenza in essa di nozioni come apertura, mondo o evento, quasi sempre difficili da maneggiare. Così, quando Nancy afferma che «le Dieu de l’onto-théologie s’est lui même produit (ou déconstriut) comme sujet du monde, c’est-à-dire comme monde-sujet»47, continuare ad usare lo stesso termine, mondo, anche se previamente è stato alterato per potersi avvicinare all’essere-nel-mondo heideggeriano, fa in modo che in esso risuoni ancora l’eco di quell’ente supremo che si rifiuta di essere respinto.

L’evidente complessità di questo pensiero forse può essere, se non proprio neutralizzata, almeno ridotta, se si recupera un concetto poco usato da Nancy negli ultimi anni, praticamente assente dalla decostruzione del cristianesimo, ma che fornisce appigli con i quali poter scalare la sfida che rappresenta il pensiero di Dio come mondo o apertura. Si tratta della nozione del luogo48, onnipresente in Des lieux divins: «cette présence de pas de dieu pourrait cependant porter l’invite, l’appel, d’un à-dieu: aller à dieu, ou bien adieu à tous les dieux. Ensemble, inextricablement, la présence divine et l’absence de tout dieu. Le lieu - hic et nunc - à la place du dieu. - Peut-être cela était-il inscrit entre les lignes des principes mêmes de l’onto-théo-logie: Deus interior intimo meo, il y a un lie plus reculé que le lieu d’aucun sujet, un lieu sans substance et tout de présence exposée, le simple éclat invisible où le sujet - le Dieu - vole en éclats»49.

Conclusioni

Per quanto ne sappiamo, le ragioni per le quali Nancy abbandona l’idea di Dio come luogo – come luogo svuotato della sostanza divina – non sono state da lui chiarite, almeno per il momento. Potremmo azzardare, come si è già visto, che l’introduzione dei concetti di mondo e di senso comportò lo slittamento di quello di luogo. Invece, ritornare a Des lieux divins come propedeutica alla decostruzione del cristianesimo può risultare utile. Non solo in quanto offre un avvicinamento alternativo alla stessa tematica con un lessico non così heideggeriano come quello degli ultimi lavori di Nancy, origine delle divergenze e discussioni segnalate, ma anche in quanto chiarisce per quale ragione questo filosofo insiste sul motivo dell’“ultimo dio che fa un cenno (Wink) al suo passaggio. La divinità, il “dio divino di Heidegger, è quel Deus interior intimo meo, secondo l’espressione di Agostino d’Ippona che a Nancy piace citare.

In definitiva, un luogo nel quale il soggetto – Dio ente supremo, il cogito cartesiano, l’io della psicoanalisi… –, sov-viene, si espone; nel quale qualsiasi sostanza che viene postulata è aperta. Aperta a che cosa? All’evento del Dio che passa e che strizza l’occhio e con il quale manteniamo una relazione speciale: «Le divin est cela, ou celui, avec quoi ou avec qui l’homme se trouve engagé dans un certain rapport: de présence ou d’absence, de parution ou de disparition»50.

Arriviamo così al cuore della decostruzione del cristianesimo. Se Nancy esita ad eliminare questo termine, cristianesimo, si deve al fatto che in esso, una volta che gli dei (la ousìa) si sono ritirati, resta un’idea di “comunità senza comunione che vincola o ri-lega gli “esseri-singolari-plurali. Se Dio esiste può essere soltanto la relazione (rapport) fra coloro i quali vedono il segnale (Wink) del “Dio divino; relazione in quanto condivisione (partage) di quello stesso segnale, segno che mira ad un luogo, nel quale il senso non soggiace ma passa: «cela demande de penser sans doute que l’avec” n’est rien: nulle substance et nul en-soi-pour-soi. Toutefois ce rien n’est pas exactement rien: c’est quelque chose qui n’est pas une chose au sens d’un posé-présent-quelque part. Il n’est pas en un lieu, puisqu’il est bien plutôt le lieu lui-même: la capacité que quelque chose, ou plutôt quelques choses, et quelques-uns, y soient, c’est-à-dire s’y trouvent les unes avec les autres ou entre elles - l’avec ou l’entre n’étant précisément pas autre chose que le lieu lui-même, le milieu ou le monde d’existence»51.

La decostruzione del cristianesimo, se seguiamo il filo tracciato da Heidegger, propone una nuova relazione con Dio. Non si tratta di fare di esso una Totalità che irrompa nella relazione fra un Io e un Altro, poiché la divinità risiederebbe precisamente in questa relazione. Lontana dalla dialettica che opera nelle coppie trascendenza/immanenza, Essere/ente, Dio/uomo, la relazione con il divino per il quale non esiste ancora un nome52 si appoggia su un vuoto, su un nulla (rien) come luogo abbandonato dagli dei nella loro ritirata e che non si tratta di colmare ma di lasciare aperto e, in ogni caso, di toccare: «faire toucher que Dieu existe: c’est-à-dire qu’il en saurait, précisément, être sur le mode de ce que nous connaissons et de ce que nous saisissons comme positions d’être, et qu’il relève d’une tout autre existence, d’une tout autre épreuve de l’exister»53. Religione ontologica? Religione del toccare? Dio del tocco? Forse l’“ultimo dio”, quel “Dio divino” che passa e fa dei cenni, aspetta ancora un nome. Ma, fino a quando non lo riceverà, conviene ricordare, poiché questo è il compito etico, la prassi che ci compete, che «il en peut y avoir de philosophie qui ignore la possibilité d’un rapport de l’homme à Dieu, du discours au mystère, rapport d’exclusion et de référence réciproque -mais non de fondement»54. Provvisoriamente adotteremo il termine che viene impiegato proprio da Nancy: cristianesimo, il luogo nel quale Dio irrompe come relazione (rapport) e condivisione (partage).

 

Note con rimando automatico al testo

1 Traduzione dallo spagnolo di Valentina Zucchi e Cristina Coriasso Martín-Posadillo.

2 «Jede Philosophie als Metaphysik ist Theologie in dem ursprünglichen Sinne, daß das Begreifen (λόγος) des Seienden im Ganzen nach dem Grunde (d.h. der Ur-sache) des Seyns fragt und dieser Grund θεός, Gott, gennant wird», HEIDEGGER, Martin, Schelling: Vom Wesen der menschlichen Freiheit (1809), in Gesamtausgabe. II. Abteilung, Vorlesungen 1919-1944. Bd.42, Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 1988, p. 87.

3 «Die Frage: Wie kommt der Gott in die Philosophie? Können wir nur dann sachgerecht durchdenken, wenn sich dabei dasjenige genügend aufgehellt hat, wohin denn der Gott kommen soll -die Philosophie selbst», in HEIDEGGER, Martin: Identidad y diferencia / Identität und differenz, Barcelona, Anthropos, 2008, p. 122.

4 «Es ist aber kein Zufall, daß im Zusammenhang mit dem neuen ontischen Existenzverständnis, das im Christentum durchbrach», HEIDEGGER, Martin, Wegmarken [Segnavia], in Gesamtausgabe. I. Abteilung, Veröffentliche Schriften 1914-1970. Bd.9,. Frankfurt am Main, Vittorio Klostermann, 2004, p. 143.

5 Cfr. LEVINAS, Emmanuel, Dieu, la mort et le temps, París, LGF, 1995.

6 Cfr. ad esempio, LEVINAS, Emmanuel, Autrement qu’être. La Haye, Martinus Nijhoff, 1974, p. 183.

7 «dem göttlichen Gott vielleicht näher», HEIDEGGER, Martin, op. cit. (2008), p. 152.

8 «das Sein eines an ihm selbst Seinen lautet substantia», HEIDEGGER, Martin, Sein und Zeit, in Gesamtausgabe. I. Abteilung, Veröffentliche Schriften 1914-1970. Bd.2, Frankfurt am Main, Klostermann, 1977, p. 120.

9 NANCY, Jean-Luc, Il faut remettre l’homme dans un rapport infini avec lui-même, in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica», 4 (2007), p. 785.

10 NANCY, Jean-Luc, La Déclosion. París, Galilée, 2005, p. 54.

11 NANCY, Jean-Luc, Être singulier pluriel. París, Galilée, 1996.

12 NANCY, Jean-Luc, La Déclosion, op. cit., p. 39.

13 Ivi, p. 219.

14 NANCY, Jean-Luc, L’Adoration. París, Galilée, 2010, p. 78.

15 Sebbene si debba considerare che la sua apparizione nel corpus nancyniano risale, almeno, agli inizi degli anni ‘80. Così, in Le partage des voix la fede riceve un trattamento simile a quello che riceverà all’interno della decostruzione del cristianesimo, poiché, per esempio, si presenta già in opposizone alla credenza: «ce n’est pas la religion qui a donné à la philosophie une figure de l’herméneutique, c’est la philosophie -c’est-à-dire ici l’onto-théologie comme l’entend Heidegger- qui a déterminé l’herméneutique dans la religion. Le cercle herméneutique” est sans doute (onto)théologique par nature et en toutes circonstances. Ce qui par ailleurs en permet aucune conclusion sur l’ interprétation” religieuse hors de l’onto-théologie (mais de quoi parlerait-on alors?). Peut-être faudrait-il se risquer à prolonger la note précedente jusqu’à dire: la foi, quant à elle, pourrait bien être, malgré les apparences, tout à fait étrangère à l’herméneutique (sans que soit par là comblé l’abîme qui la sépare de la philosophie, ou de la pensée) ». In NANCY, Jean-Luc, Le partage des voix. París, Galilée, 1982, p. 17.

16 NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 90.

17 «car la subjectivité amoureuse est la transsubstantiation même et que cette relation sans pareille entre deux substances -où s’exhibe un au delà des substances- se résout dans la paternité». LEVINAS, Emmanuel, Totalité et Infini. La Haye, Martinus Nijhoff, 1971, p. 249. Senza dubbio, bisognerebbe parlare a lungo del concetto levinasiano della fecondità/paternità e di come e fino a che punto quel figlio che non “ho” ma che “sono”, non implichi una certa idea di “opera”, in modo tale che la intersoggettività levinasiana si orienterebbe a quella produzione dalla quale vuole liberarsi Nancy.

18 NANCY, Jean-Luc, L’Adoration, op. cit., p. 16.

19 Nancy prende in prestito quest’idea dalle Lezioni sulle prove dell’esistenza di Dio di Hegel e la introduce spesso nelle sue opere. Per esempio in La Déclosion, op. cit., p. 214.

20 NANCY, Jean-Luc: La Déclosion, op. cit., p. 16.

21 NANCY, Jean-Luc. L’Adoration, op. cit., p. 18.

22 Ivi, p. 23.

23 DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet (ed.), Sens en tous sens, París, Galilée, 2004, p. 185.

24 NANCY, Jean-Luc, «L’a-athéisme», in ah ! n° 3 (avril 2006), Bruxelles, p. 61.

25 NANCY, Jean-Luc, Ego sum. París, Flammarion, 1979, p. 33.

26 DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 188.

27 «l’amour est le mouvement appuyé sur cette épiphanie [l’épiphanie du visage”], qui la transcende pour accéder, au-delà du visage, de la vision et du toi”, au caché -jamais assez caché- absolument insaisissable”». In NANCY, Jean-Luc, Une pensée finie, París, Galilée, 1990, p. 260.

28 Ivi, p. 261.

29 GUIBAL, Francis, «Sans retour et sans recours», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 65.

30 Cfr. DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 191.

31 NANCY, Jean-Luc, Des lieux divins. Mauvezin, T.E.R., 1987, p. 6.

32 Cfr. NANCY, Jean-Luc, «D’une ‘mimesis sans modèle’», in L’animal nº 19-20 (2008), Metz, p. 109.

33 Cfr. NANCY, Jean-Luc, «Entretien», in JANICAUD, Dominique, Heidegger en France II. Entretiens. París, Albin Michel, 2001, p. 245.

34 NANCY, Jean-Luc, Des lieux divins, op. cit., p. 23.

35 Il motivo della ritirata (re-trait) risulta familiare ai lettori di Nancy. Non invano questo fu il titolo del testo «Le retrait du politique», scritto a quattro mani fra lo stesso Nancy e Lacoue-Labarthe, e frutto del Centre de Recherches Philosophiques sur le Politique, esperienza che, come è risaputo, diede, fra gli altri frutti, due opere che riprendono le lezioni di quel seminario. Una di quelle, Le retrait du politique, include quel testo omonimo in cui i suoi autori difendono la necessità di una “ritirata” dell’elemento politico, ritirata (retrait) che implica un ri-tracciato (re-trait): «en parlant de retrait, nous avons voulu dire que quelque chose se retire dans (ou de) ce que j’appellerai, à la fois pour faire vite et par provocation, la cité moderne. […] Le retrait apparaît odonc d’abord comme le retrait de la transcendance et l’altérité». E un po’ più avanti: “il n’ya pas à “sortir” du retrait, mais à faire l’épreuve de ceci que le politique s’articule sans doute comme un “retrait” essentiel, qui est peut-être le retrait de l’unité, de la totalité et de la manifestation effective de la communauté. Cela suppose toute une élaboration, d’autant plus complexe si c’est à nouveau le politique (ou la souverainété) qui doit ainsi se “retracer”. Mais cela suppose en tout cas -et à cet égard il ne faut pas qu’on se méprenne sur nos intentions- que cette problématique en peut être pas celle d’un fondement (ou d’un nouveau fondement) du politique». LACOUE-LABARTHE, Philippe y NANCY, Jean-Luc «Le retrait du politique», en LACOUE-LABARTHE, Philippe y NANCY, Jean-Luc (eds.), Le retrait du politique. París, Galilée, pp. 191, 192 e 195. Non obbedirebbe la decostruzione del cristianesimo a quella stessa necessità di ritirare/ritracciare l’elemento religioso?

36 DERRIDA, Jacques y NANCY, Jean-Luc, «Responsabilité – Du sens à venir», in GUIBAL, Francis e MARTIN, Jean-Clet, op. cit., p. 193.

37 Citato da Nancy in La Déclosion, op. cit., p. 155.

38 Ivi, p. 163.

39 Cfr. nota 13.

40 NANCY, Jean-Luc, La Déclosion, op. cit., p. 176.

41 Ivi, p. 169.

42 NANCY, Jean-Luc, L’expérience de la liberté, París, Galilée, 1988, p. 146.

43 Ivi, p. 149.

44 Cfr., fra altre, l’opera di Derrida Donner le temps, París, Galilée, 1991.

45 Cfr. DERRIDA, Jacques «Entretien», in JANICAUD, Dominique: Heidegger en France II. Entretiens, op. cit., p. 123.

46 Cfr. DERRIDA, Jacques, Dire l’événement, est-ce possible? París, L’Harmattan, 2001.

47 NANCY, Jean-Luc, La création du monde - ou la mondialisation, París, Galilée, 2002, p. 39.

48 Risulta significativo che in L’Adoration Nancy ometta qualsiasi riferimento all’idea di luogo, dei “luoghi divini”, e al suo posto introduca il termine “posto” (place) per esprimere praticamente la stessa cosa: «la vérité simple et nue qu’il n’y a rien à la place de Dieu parce qu’il n’y a pas de place de Dieu. Le dehors du monde s’ouvre en plein monde et il n’y a pas de place première ou dernière. Nous sommes chacun chaque fois premier et dernier». In L’Adoration, op. cit., p. 94.

49 NANCY, Jean-Luc, Des lieux divins, op. cit., p. 34.

50 Ivi, p. 28.

51 NANCY, Jean-Luc, La pensée dérobée, París, Galilée, 2001, p. 120.

52 NANCY, Jean-Luc, La création du monde - ou la mondialisation, op. cit., p. 153.

53 NANCY, Jean-Luc, Des lieux divins, op. cit., p.p. 28-29.

54 NANCY, Jean-Luc, «Catéchisme de persévérance», in Esprit, ottobre 1967, p. 379.