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Trasformazioni governamentali e eccedenze democratiche

Trasformazioni governamentali e eccedenze democratiche:
l’enigma dell’innovazione politica nell’epoca della mondializzazione

Esiste un generale consenso nel riconoscere che ovunque oggi nel mondo le esperienze moderne della democrazia sono messe alla prova dalle accelerazioni imposte dalla globalizzazione economica e finanziaria. Certamente, la maggior parte dei governi democratici vive processi di trasformazione del modello storico del government rappresentativo-elettivo; rilevanti novità sono pure presenti in alcuni paesi – di recente impianto democratico – dove l’articolazione di procedure costituzionali e di dispositivi istituzionali sembra assumere caratteri diversi rispetto ai tracciati segnati dalla modernizzazione politica occidentale. Inoltre, bisogna prendere anche in seria considerazione – come vedremo per le indagini e gli autori in seguito richiamati – importanti avanzamenti sul piano teorico rivolti a qualificare tendenziali modificazioni o possibili cambiamenti in termini di astrazioni normative, ma anche a segnalare ipotesi e proposte di ulteriore arricchimento delle concrete procedure di legittimazione del governo democratico. Con qualche buona ragione si può sostenere che la diffusa emergenza di movimenti alternativi e i tentativi di trasformazione istituzionale all’interno di alcune democrazie siano parte delle conseguenze indotte dagli avvenimenti che hanno posto fine alle inefficaci e drammatiche sperimentazioni delle utopie dei socialismi reali: per un altro versante, risulta difficile argomentare che questi fenomeni siano stati favoriti dall’egemonia del paradigma neoliberale, rimasto comunque il sistema di governo predominante in Occidente. Volendo esprimere in forma generale, per quanto in modo ancora approssimativo, uno degli interrogativi principali della politica contemporanea, si può assumere in partenza che l’esaurimento dei percorsi di civilizzazione specifici dell’epoca moderna apre effettivamente all’enigma dell’innovazione politica nei processi della mondializzazione.

 

1. Sicuramente oggi è in gioco l’avvenire stesso di quel modello democratico che ritorna – con forme diverse – dall’antica Grecia nel Nord America e in Europa alla fine del diciottesimo secolo1. In effetti, assistiamo alla lotta incessante tra pratiche esplicitamente conservative, sperimentazioni in divenire, politiche che si autodefiniscono democratiche in modo improprio: è in atto uno scontro cruento in cui la posta in gioco è l’appropriazione dell’uso stesso del termine democrazia. Ciò che accade non è nemmeno del tutto nuovo: come gli eventi storici del passato testimoniano, i percorsi di ciò che chiamiamo democrazia possono favorire la crescita del vivere libero e civile (seguendo l’espressione machiavelliana), oppure indurre semplicemente alla scomparsa, per un tempo imprevedibile, della democrazia stessa.

Per meglio intendere la complessità del governo democratico – certamente in riferimento ai caratteri della sua origine, ma con l’attenzione rivolta alle differenze proprie delle novità dei percorsi presenti e di tendenza – bisogna riferire innanzitutto le trasformazioni democratiche ai contesti determinati del suo svolgimento storico, a partire dai vissuti umani impegnati nelle insurrezioni rivoluzionarie fino ai passaggi successivi della stabilizzazione istituzionale, nei tragitti appunto originari che dagli istinti pervengono alla composizione delle istituzioni2. In particolare, le politiche democratiche vivono in permanenza la tensione conflittuale tra due polarità, che possiamo distinguere con le articolazioni determinate di due campi semantici:

da un lato, le dinamiche di eccedenza della democrazia: vale a dire, pratiche, esiti e residui che le politiche democratiche segnano come tracce dei tentativi d’insorgenza e di emancipazione realizzati positivamente, e anche di quelli falliti nel tempo passato; in queste situazioni, le speranze e i desideri dei soggetti, anche frustrati, rivivono come eccedenza nelle nuove generazioni, nella potenza che si rinnova periodicamente al fine di impegnare prassi di libertà e di autonomia con rinnovato ed intrattenibile vigore; per questi aspetti, la democrazia apre ad un vuoto (come argomenta Claude Lefort3) che necessita del rinnovato impegno simbolico prodotto da quanti intendono realizzare riconoscimento e inclusione per la propria parte; il punto originario di tali eccedenze è sicuramente l’esperienza viva di sofferenze e traumi che apre alle concrete posizioni di quel senso antagonistico indotto dalle conseguenze del torto subito4; i risultati delle politiche dell’eccedenza democratica non sono mai compiuti in modo definitivo, aprono piuttosto alla permanente destabilizzazione/riconfigurazione istituzionale: processi di interminabili adattamenti – intervallati da inevitabili brevi fasi di rotture – cercano di rendere valido e sostenibile un equilibrio di convivenza, peraltro irrealizzabile e sempre ambiguo, tra le parti della comunità;

dall’altro lato, il governo democratico offre spazio – non potrebbe nemmeno evitarlo – alle dinamiche dell’eccesso, dell’accumulo senza limiti di processi d’identificazione (etnie, religioni, interessi, etc.) e di tecnologie decisionali rivolte in prevalenza alla realizzazione dell’esercizio esclusivo di potere specificamente politico: in questi casi, le imposizioni di pochi decisori oppure i dispositivi dell’artificio istituzionale – in cui vengono concentrandosi una forza esecutiva smisurata e fuori controllo – rappresentano volontà particolari e diffuse di conservare i risultati delle appropriazioni realizzate da alcune parti che perseguono normalmente la finalità dell’esclusione violenta di altre parti; in questi casi, le dinamiche simboliche tentano di rappresentare il tutto pieno della dominazione di governi monocratici oppure oligarchici, la cui funzione risulta essenzialmente quella di fare corrispondere la datità reale conservativa con le istanze di una ragione (giuridica ed economica) separata dai corpi e dagli affetti: con l’ulteriore intendimento di rinforzare attivamente quella corrispondenza grazie al sostegno di efficaci retoriche mediatiche.

Ancora nei tempi della mondializzazione, dopo gli eventi tragici (genocidi, persecuzioni di massa, xenofobia, etc.) verificatisi in Europa nella prima metà del secolo trascorso e in seguito in tante parti del mondo, gli esseri umani vivono gli antagonismi permanenti e irrisolvibili del confronto tra eccedenze ed eccessi delle forme politiche rese possibili dalla democrazia insorgente: le potenzialità eccedenti finalizzate ad offrire una composizione di benessere come riparazione alle sofferenze indotte dal torto si oppongono agli egoismi eccessivi praticati dai gruppi umani che vivono sottrazioni, frustrazioni e danni immaginari; le privazioni reali – di cui soffrono ordinariamente gli esseri umani e che giustificano gli interventi della politica – possono aprire ai percorsi ordinari della civilizzazione oppure ai tragici inabissamenti prodotti da una straordinaria violenza. Ai risultati di queste dinamiche oppositive resta legato il perseguimento delle principali finalità democratiche: libertà e autonomia per le singolarità.

Peraltro nello scenario globale contemporaneo accrescono le difficoltà per l’impianto e l’attiva conservazione delle politiche democratiche: gli ordinamenti costituzionali vigenti vivono irrigidimenti consistenti e silenziosi arretramenti, i rischi da calcolare si trasformano in situazioni d’ingovernabile incertezza, la necessità delle decisioni istituzionali soffre di livelli crescenti d’indecidibilità. Le politiche democratiche sono allora aperte a margini più ampi di ambiguità e pure di possibilità: mai come oggi, sono a confronto nei processi di mondializzazione opzioni diverse, tra di loro alternative.

 

2. L’eccedenza democratica si presenta come autocritica permanente della democrazia: in questo senso, viviamo oggi gli sviluppi estremi della democrazia neoliberale e, contemporaneamente, la critica democratica al modello del governo rappresentativo ed elettivo. Il sintomo principale di questa crisi – che in tutti i paesi occidentali risulta bene visibile nel vissuto delle sofferenze depressive dei cittadini – è il processo di crescente separazione tra le forme di esercizio del governo democratico e lo strumento della rappresentanza elettiva così come l’abbiamo conosciuto da più di due secoli a questa parte (grazie alla costruzione di un sistema elettivo di varia natura fondato sul principio del suffragio universale): in breve, la tendenziale innegabile disgiunzione tra democrazia e forme attuali del governo rappresentativo.

La teoria riconosce questo punto già da tempo; nella sua importante analisi sulle forme funzionali della rappresentanza politica (agli inizi degli anni novanta), Bernard Manin offriva la chiara enunciazione teorica della differenziazione tra democrazia e governo rappresentativo: a fine settecento il governo rappresentativo si affermava – sotto le denominazioni di Republic nell’America del Nord e di Republique in Francia – in ragionata opposizione alla tradizione greca (la pura democrazia), con le argomentazioni teoriche differenti ma convergenti di Madison e Sieyes; quindi, Manin procedeva a descrivere il carattere inevitabilmente aristocratico dello strumento del governo rappresentativo: questa forma specifica di governo – che solo dalla fine dell’ottocento assumerà la configurazione piena del moderno government democratico negli USA e in poche nazioni europee – può procedere unicamente grazia alla selezione di un classe politica di governanti (saggi e possibilmente già proprietari) scelti attraverso il dispositivo elettorale.

Inoltre, grazie all’analisi approfondita del processo di metamorfosi delle forme specifiche della democrazia rappresentativa-elettiva, Manin perveniva alla tesi secondo cui, negli ultimi decenni del secolo passato, la democrazia è sicuramente andata oltre il modello della democrazia dei partiti per assumere altre caratteristiche – il modello della democrazia del pubblico – secondo cui la funzione tradizionalmente e inevitabilmente aristocratica dell’esercizio del governo democratico viene decisamente puntando sull’accentuazione dei caratteri di personalizzazione, sull’elemento di trust (fiducia) tra elettori ed eletti, quindi su un legame via via più diretto tra leadership e cittadini. Manin non traeva previsioni dal punto di vista storico-politico; tuttavia, dietro e oltre la decisa trasformazione dei partiti di massa in partiti personali, egli lasciava intravedere conseguenze di tipo diverso; il più stretto collegamento tra leadership di potere e cittadini avrebbe potuto costituire forme più dirette di rappresentazione e d’incidenza della volontà dei cittadini: ma, alternativamente, sarebbe potuto derivare un accumulo maggiore di potere per i membri degli esecutivi e per le oligarchie di governo.

In breve, con la sua analisi, Manin preannunciava importanti cambiamenti nelle relazioni tra le forme del governo democratico ed utilizzo dello strumento di rappresentanza; a non molti anni di distanza, e in seguito ad avvenimenti storici di portata davvero straordinaria – il crollo dei socialismi reali negli anni 1989/91, l’abbattimento delle Twin Towers, la seconda guerra dell'Iraq ed il tentativo USA (fallito) di realizzare un’egemonia mondiale, l’esperienza davvero inedita di rivolte democratiche in regioni del Sud America, del Nord Africa e di alcuni paesi asiatici –, si può riflettere in modo più articolato sul peso che nei governi democratici assumono in forma crescente le difficoltà del criterio della rappresentanza politica nella sua funzione centrale di espressione dei bisogni/interessi dei cittadini e di mediazione dei conflitti.

Il centro focale dell’indagine critica riguarda quindi le difficoltà del modello neoliberale che avanzano per il verso della chiusura del ciclo storico delle politiche democratiche della modernità ed aprono – nel contesto di uno scontro durissimo con l’utopia della globalizzazione economico-finanziaria5 – ad una fase nuova della politica mondiale: prendo dunque in considerazione – con tre determinate istanze rese possibile dall’astrazione critica – alcuni elementi dei processi in atto che possono condurre al radicale rinnovamento della democrazia oppure alla modificazione del governo mondiale verso forme di governo autoritario.

 

3. Prima istanza critica: al fine di comprendere la serie delle relazioni tra politica e democrazia nel particolare riferimento ai termini della crisi del neoliberalismo risulta decisivo argomentare il nesso tra governamentalità e democrazia, tra pratiche governamentali e politiche democratiche.

Utilizzando con piena adesione gli elementi dell’indagine di Michel Foucault sulla gouvernamentalité, si può assumere preliminarmente che la concentrazione di potere politico di cui consiste la moderna sovranità (anche quella definita popolare) va riferita al complesso delle strategie disciplinari e alle tecnologie del governo di sé che costituiscono in concreto i processi di soggettivazione attivi nella civilizzazione occidentale6. Attraverso questi processi di soggettivazione, gli individui danno forma alle reti di poteri che configurano dinamiche incessanti – e in permanente mutamento – di situazioni diverse di dominazioni e di assoggettamenti. In effetti, le politiche democratiche vengono via via costituendo il complesso dei dispositivi che in epoca moderna imprimono forma specificamente politica ai processi di governamentalità, a partire dal settecento; ai nostri giorni, ci troviamo di fronte ai processi di soggettivazione specifici del neoliberalismo, grazie ai quali gli individui del mondo occidentale perseguono la realizzazione di una specifica forma di libertà (essenzialmente economica), facendo del governo di sé il fulcro dei criteri operativi che valgono a realizzare il governo degli altri7. Tanto induce al convincimento che – al fine di comprendere la concretezza degli svolgimenti storici e insieme prospettarne le probabili tendenze – il lavoro teorico deve inevitabilmente riferire le trasformazioni delle forme del governo democratico agli scorrimenti di governamentalità, alla serie di pratiche/condotte che caratterizzano forme differenti di soggettivazioni e che giungono a condensarsi nelle istituzioni democratiche con diverse graduazioni.

Nell’epoca della piena modernità, i processi fondati sul modello costruttivo dell’individuo vissuto come imprenditore di se stesso, attivo capitale umano, hanno bisogno di ideologie e dispositivi prodotti dall’agire autonomo della politica; tali dinamiche – secondo le complesse composizioni che assumono nei diversi ambiti territoriali – trovano rappresentazione nelle modalità storiche dello svolgimento giuridico-istituzionale assunte via via dalla moderna democrazia: a partire dagli strumenti rappresentativi ed elettivi del parlamentarismo liberale classico, attraverso le articolazioni del mercato politico descritte nel modello schumpeteriano, fino ai tentativi del neopluralismo contemporaneo rivolto a costruire quelle politiche di governance che si presentano come i mezzi del più efficace coordinamento tra funzioni statuali in crisi, strategie nuove dell’esercizio delle imprese transnazionali e mercato finanziario mondiale (mulitilevel governance)8. In particolare, a partire dalla seconda metà del secolo ventesimo, questi dispositivi di governance contribuirebbero a incrementare il cosiddetto capitale umano, a rendere più funzionali corpi, energie e poteri dei singoli che s’impegnano a fare di se stessi i veicoli di forme anche flessibili d’impresa; con intervento complementare, a fronte delle estreme sofferenze della legittimazione di tipo rappresentativo-elettivo, istituzioni pubbliche/private opererebbero in modo da favorire forme di partecipazione controllate e sponsorizzate dalle autorità ufficiali, sul piano nazionale e internazionale (Autorità Amministrative Indipendenti, authorities e agenzie di regolamentazione e terzietà, ONG, etc.). Non a caso, negli ultimi decenni, ai processi di soggettivazione del neoliberalismo – innescati dal secondo dopoguerra nel Nord America ed in Germania – corrisponde la messa in opera di pratiche/discorsi di un deficit democratico dichiarato ed argomentato in modo strumentale al fine di giustificare maggiore flessibilità nel campo dell’intervento politico/decisionale e di operare grazie a dispositivi e a tempi di carattere emergenziale (in particolare, vedi politiche e politologia dell’Unione Europea9). Tutto questo viene confermando la crisi radicale della legittimazione del modello di government e l’affermazione di una tipologia pragmatica di legittimazione appunto funzionale, non più partecipativa.

Da questo quadro già viene emergendo, sul piano mondiale, la curvatura tendenzialmente conservativa che viene a essere assunta nelle esperienze democratiche più significative del secolo passato: in sintesi, la fase di avanzato ristagno della democrazia come processo in divenire, aperto, incompiuto. Uno dei maggiori teorici della democrazia contemporanea, Robert Dahl, ha dedicato il suo splendido studio ai fenomeni pericolosi dell’irrigidimento delle politiche democratiche, alla stabilizzazione in senso conservativo della democrazia in Occidente. Al centro della sua analisi, le difficoltà da parte del cittadino medio nel far sentire la propria voce all’interno della complessa strutturazione sistemica della produzione delle decisioni e dei controlli; in modo analitico, Dahl richiamava l’attenzione del cittadino democratico sulle patologie che inducono alla stabilizzazione delle ineguaglianze politiche: la deformazione della coscienza civica che induce enfatizzazione degli egoismi e dei particolarismi, la distorsione dell’ordine del giorno pubblico (non più in grado di sottoporre a decisione tempestiva i problemi effettivi ed urgenti del demos nazionale), l’alienazione del controllo finale, vale a dire l’appropriazione di funzioni pubbliche da parte di attori/organizzazioni private o non governative (Dahl preconizzava già nel 1982 – nel suo studio sui dilemmas of pluralistic democracy – quanto sarebbe accaduto in Italia dieci anni dopo)10.

 

4. Nell’attualità dei processi di mondializzazione, sembra ormai del tutto esaurito il legame tra governo rappresentativo e divisione capitalistica del lavoro, mentre la scomparsa delle identità collettive, strutturate secondo la forte omogeneità sociale ed ideologica, apre ad una storia certamente diversa della rappresentanza politica. In effetti, negli ultimi due decenni del secolo passato, gli scorrimenti di soggettivazione sembrano posti in difficoltà da due processi dirompenti che tendono a modificare in forme ancora più negative il registro del governo neoliberale della vita umana. Da un versante, il mondo vive la deflagrazione della divisione internazionale del lavoro sotto le forme della frammentazione microfisica delle attività lavorative: tanto accade in conseguenza dell’ingresso sul piano mondiale dei mercati del lavoro dei paesi post-socialisti e in seguito all’emersione di una feroce concorrenza indotta da paesi in fortissima espansione produttiva. Quindi, sul versante della crisi interna di trasformazione dei processi dell’accumulazione capitalistica, risalta con piena evidenza la contraddizione tra i processi di enorme svalorizzazione indotta dagli sviluppi straordinari dell’economia della conoscenza (che vive tanto nelle tecnologie dei sistemi produttivi quanto nel numero elevatissimo delle intelligenze di ricercatori ormai strutturalmente precari) e le forme dell’estensione perversa di un mercato finanziario rivolto alla produzione di plusvalenze realizzate con mezzi raffinati di rapina della ricchezza collettiva. Le modalità delle soggettivazioni di tipo neoliberale debbono dunque adeguarsi alle modificazioni di comportamenti e condotte impegnati in percorsi di minore liberalizzazione economica e di maggiore attenzione ai bisogni di sicurezza sulla vita.

Seconda istanza critica: nel contesto della mondializzazione contemporanea, sembrano aumentare le difficoltà delle strategie neoliberali di autodisciplinamento delle condotte prodotte dai singoli individui su se stessi; da un lato, vengono trasformandosi le pratiche governamentali, mentre in corrispondenza tendono a cambiare in senso peggiorativo le politiche democratiche neoliberali.

In effetti, sembrano segnare il passo quelle modalità del disciplinamento neoliberale che restituivano ai soggetti la possibilità di scambiare l’incremento energetico dei propri poteri psico-fisici con pratiche di consapevole obbedienza nei confronti delle autorità istituzionali; incalzante è il tentativo di incrementare forme di comando violento del mercato mondiale sulle modalità di erogazione della pura energia vitale, psico-fisica: basti considerare le condizioni di profondo assoggettamento degli individui coinvolti nella precarizzazione strutturale di massa nelle aree sviluppate del mondo occidentale, oppure l’organizzazione del lavoro straordinariamente dolorosa nei sistemi produttivi delle grandi potenze emergenti (Cindia, Brasile, etc).

Il discorso sulla governamentalità va dunque ripreso e articolato in modo adeguato agli eventi contemporanei secondo le esigenze argomentate dallo stesso Foucault; da un lato, egli attribuiva il fallimento dei socialismi reali all’incapacità di dare corpo a pratiche alternative di governamentalità da parte delle soggettività collettive di lotta organizzate negli organismi rigidamente disciplinati di partiti e sindacati; per un altro versante, Foucault ha costantemente sottolineato il carattere di permanente trasformazione proprio di pratiche e dispositivi di governamentalità, impegnandosi a ricostruire avanzamenti e modificazioni dei registri governamentali e disciplinari a partire dal settecento. Dunque, proseguendo secondo il tracciato aperto da Foucault, per quanto concerne gli svolgimenti contemporanei della mondializzazione bisogna ipotizzare che le tendenze predominanti delle nuove forme delle dominazioni tendono a favorire processi di desoggettivazione al fine di indebolire volontà e condotte antagonistiche: infatti, se strategie di governance contribuiscono ancora parzialmente a rinforzare corpi ed energie dei singoli, sembrano tuttavia venir meno le forme di attivo disciplinamento rese possibili nella fase più espansiva del modo di produzione capitalistico, idonee a favorire la rapida crescita di un capitale umano creativo e capace di utilizzare positivamente le più avanzate tecnologie. Si è forse pervenuti nella tarda modernità alle forme estreme di quegli scorrimenti che hanno promosso l’attivazione di un governo dei comportamenti e dei corpi da realizzare attraverso la produzione del benessere ergonomico dei soggetti con finalità determinate di depoliticizzazione dell’azione dei singoli: in breve, quell’esaltazione dell’économie politique de la santé che, in un punto della sua ricerca, Foucault chiama somatocracié11.

Questo significa che nelle situazioni in cui l'utilizzo delle tecnologie viene applicato alla produzione economica e all’organizzazione del lavoro in forma sistemica (nanotecnologie, biotecnologie, tecnologie della comunicazione), inevitabile appare l'impatto distruttivo per generazioni intere di lavoratori. In tutte le aree mondiali, dalle metropoli industriali dell'occidente fino ai grandi opifici asiatici, modificazioni di governamentalità ed esercizio distruttivo del biopouvoir (esprimendoci con lessico foucauldeano) riguardano, da un lato, lo sfruttamento della vita materiale e spirituale di quei soggetti impegnati come pura energia psicofisica nella produzione materiale: da un altro versante, la serie delle relazioni d’interazione tra soggetti consumatori e sistemi tecnologici massmediali e di rete configurano individui sicuramente agevolati nei processi comunicativi, tuttavia tendenzialmente inibiti nella possibilità di offrire ai propri comportamenti indirizzi di autonomia. In breve, gli individui vengono a soffrire in crescendo l'impossibilità di rendersi libera e creativa espressione d’impresa, mentre pure si riducono notevolmente i margini della sicurezza e della sostenibilità negli ambienti della vita.

In realtà, la produzione di desoggettivazione rischia di diventare la base dell’incremento di depoliticizzazione dei cittadini e della vita civile: peraltro, queste strategie di passivizzazione degli individui smentiscono i fondamenti della governamentalità neoliberale e, sul lungo periodo, potrebbero introdurre ovunque nel mondo inediti elementi di rigidità, quindi ulteriori divisioni e pericolosissime fratture. In questa situazione, i soggetti che detengono il comando mondiale cercano di intervenire con maggiore incidenza nei confronti delle coscienze individuali e degli stili di vita: di qui il ruolo specifico della manipolazione massmediale e del controllo molecolare resi possibile dalle potenzialità offerte dalle nanotecnologie. Gli strumenti del populismo mediatico producono modalità di crescente desublimazione (come si esprime Bermard Stiegler12), di perversa distruzione di quell’attività libidica dei soggetti che aveva reso possibile soprattutto in Occidente (nella fase storica successiva alla seconda guerra mondiale) importanti investimenti energetici produttivi da parte dei singoli; il blocco dell’attività desiderante viene rafforzando negli individui tendenze narcisistiche e contemporaneamente apre al godimento di oggetti per un consumo interminabile e privo di senso. Viene anche meno la possibilità stessa della tensione produttiva che i desideri impiantano di necessità con la Legge, vale a dire con i limiti posti dalla politica autentica: soprattutto svanisce ogni proficua relazione con il desiderio dell’Altro, con l’apertura difficile ma indispensabile alla rete degli affetti e dei bisogni dei singoli. In breve, nel piano delle strategie massmediali rese funzionali all’esercizio perverso del potere politico, le tecnologie intercettano le onde dei desideri, massificando e neutralizzando le tensioni pulsionali: rendono i soggetti sempre più insoddisfatti e irresponsabili13.

In definitiva, nei processi di soggettivazione, il controllo disciplinare tende ad aumentare su di un duplice piano: da un lato, l’attivazione di dispositivi somatocratici posti in essere direttamente da istituzioni pubbliche/private nell’ultima fase del capitalismo neoliberale (attivati tanto dai governi quanto dalle imprese: vedi i recenti interventi di ristrutturazione delle industrie automobilistiche in crisi); dall’altro versante, la manipolazione diretta dei cittadini secondo il registro soft del populismo mediatico. In breve, governance in quanto governo dei cittadini ridotti all’omologazione di massa sulla figura dell’homo oeconomicus che stringe insieme i ruoli di produttore/consumatore: contemporaneamente, nei contesti della più ampia esaltazione delle dinamiche dei consumi, il ritorno delle forme più grevi d’imposizione dall’alto di dispositivi diretti di controllo degli individui resi spettatori passivi e stupidi soggetti di entusiastico consenso per il leader carismatico.

Nell’epoca della mondializzazione spinta, sembra allora che alle modificazioni dei processi di governamentalità venga corrispondendo la trasformazione in senso autoritario dei governi nelle democrazie occidentali: l’inarrestabile perverso connubio tra globalizzazione democratica e consolidamento autoritario caratterizzerebbe la fase di partenza del ventunesimo secolo; le ricerche di Dabéne–Geisser–Massardier14 – riprendendo alcune considerazioni fortemente pessimistiche di Ralph Dahrendorf – a fronte degli scenari di incertezza posti dagli irruenti fenomeni della mondializzazione, preannunciano misure crescenti di autolimitazione ed automutilazione da parte dei governi occidentali rispetto ai risultati conseguiti in circa due secoli di ritorno della democrazia; per anticipare le incertezze di ogni possibile scarto innovativo, in prospettiva si verrebbero a realizzare – con modalità diverse per i differenti contesti nazionali – pericolose turbative nelle modalità dell’esercizio dei poteri costituzionali e nell’equilibrio dei sistemi politici.

Le procedure contemporanee del governo democratico appaiono sempre più il mezzo ormai perverso della produzione di una forte e pericolosissima concentrazione di potere politico rivolta a contrastare ed a snervare ogni forma di resistenza. Di qui la diffusione delle gravissime patologie della post-democrazia: vedi i fenomeni di spettacolarizzazione della politica e del populismo mediatico15; particolarmente interessante nell’analisi della nuova fortuna vissuta dalla categoria di populismo è sicuramente il contributo di Ernesto Laclau, che argomenta – con ragioni fondate, ma pure eccessivamente generalizzanti – la tesi di una traiettoria contemporanea della politica da identificare nella concretezza, principale ed anche perversa, dei processi di simbolizzazione posti in essere dal singolare collettivo nominato popolo16. La tesi della modificazione in senso autoritario della democrazia contemporanea è stata espressa pure in un recente contributo di John Dunn: esisterebbe ormai un enorme surplus di autorizzazione, prodotto secondo l’inarrestabile sviluppo di modelli sistemici nei contesti delle democrazie occidentali, e di esso si avvantaggerebbero ormai normalmente i governanti contro i governati. A fronte di questa condizione di un potere di autorizzazione fortemente concentrato, la possibilità di de-autorizzazione (de-authorization) da parte dei singoli cittadini sarebbe praticamente del tutto compromessa; in breve, il controllo da parte dei cittadini sarebbe nella sostanza vanificato, mentre discorsi di validificazione di tipo normativo delle decisioni politiche costituirebbero l’ideologia laterale (spurious suggestion) di pratiche incontrollabili di potere (Dunn richiama criticamente le teorie di Ronald Dworkin)17.

 

5. Ritorna oggi il timore – espresso fin dall’antichità nei testi classici del pensiero politico da Platone fino a Machiavelli18 – nei confronti delle perversioni di governo e degli esiti di anarchia indotti dagli eccessi della democrazia. L’eccedenza dell’agire democratico che vive nei soggetti come ricerca, conflittuale e sofferta, della libertà e dell’autonomia verrebbe sempre più soffocata dai dispositivi artificiali e istituzionali giustificati dalla necessità di normalizzare e di securizzare i percorsi avanzanti delle incertezze sul piano mondiale della civilizzazione economica e politica.

In realtà, conservando il riferimento alle pratiche e alle teorie del neopluralismo contemporaneo, il criterio del governo rappresentativo sembra incontrare serie difficoltà nel doversi rendere espressione efficace dei processi multiformi di soggettivazione. In effetti, il dispositivo rappresentativo risulta spiazzato dalle novità introdotte dalle nuove tecnologie produttive: la stretta contiguità tra comunicazione ed economia ha provocato il rovesciamento dei rapporti tra produzione e consumo, offerta e domanda, procurando esiti di stravolgimento nella vita di individui e di attori collettivi cui fa riferimento il criterio rappresentativo. Peraltro, la strumentazione tecnologica contribuisce anche a personalizzare, singolarizzare, il consumo dei soggetti, a rivoluzionare il funzionamento dell’organizzazione dei processi lavorativi ampliando tutta la serie di attività e prestazioni proprie di una comunità di rete: da qui derivano quei processi di frantumazione estrema della divisione internazionale del lavoro e la diffusione di attività polivalenti e ipermateriali19.

In seguito al disfacimento della moderna società civile, il potere sugli esseri viventi prende corpo grazie a processi di soggettivazione individualistici e competitivi, mentre la produzione di potere disciplinare viene inquadrata all'interno di uno stato minimo, compresso secondo diverse misure in spazi che perdono in misura crescente il carattere pubblico-politico. Per un altro versante, la fine della funzione trainante dei soggetti collettivi mette capo, ovunque nel mondo, all’emergenza inarrestabile di soggettività disseminate, migranti, ibride, frammentate, che tuttavia pongono istanze di responsabilità, coerenza e giustizia: per questi aspetti le politiche democratiche sono richiamate ad inventare strategie politiche via via meno identitarie ed omogenee, e sempre più acentriche, eterogenee, reticolari20. Non sembra che questi processi di soggettivazione – nelle loro caratteristiche pure conflittuali – possano incontrare adeguata espressione sul piano politico attraverso la funzione rappresentativa: sono dunque evidenti le difficoltà di dare voce significativa alle singolarità in campo. Su questo piano, la disgiunzione tra democrazia e governo rappresentativo emerge con maggiore evidenza: a soggetti resi sempre più virtuali da complesse tecnologie informatiche corrisponde l’evanescenza della figura (astratta e giuridica) del cittadino moderno.

Il registro critico dell’opposizione tra eccedenza/eccesso nelle democrazie mette in chiaro il punto sensibilissimo della storica biforcazione che riguarda il futuro prossimo della civilizzazione politica: da un lato, nei paesi democratici prendono corpo egoismi e autoreferenzialità di oligarchie e di corporazioni economiche e politiche; da un altro lato, in occidente come in tutto il mondo, aumentano le differenze di singolarità, individuali e collettive, indotte dagli arricchimenti di conoscenze e di pratiche di resistenza pure diffuse. Agli sfaldamenti delle norme di cittadinanza e alla corruzione microfisica di soggetti si oppongono i tentativi intesi a migliorare oppure ad oltrepassare gli strumenti del governo rappresentativo tramandato dalla modernità.

L’attuale difficoltà di assegnare rappresentazione alle singolarità in campo costituisce la testimonianza dell’inadeguatezza del paradigma neoliberale, ma lascia anche intendere come l’eccedenza democratica rimanga attiva nella veste della straordinaria espansione di pratiche e di teorie legate alle politiche democratiche. Basti considerare la diffusione di nuove tipologie di legittimità democratica che cercano in tendenza di oltrepassare i tradizionali meccanismi del government, della legittimazione fondata esclusivamente sul voto. Il lavoro teorico offerto da Pierre Rosanvallon individua almeno tre percorsi differenti di arricchimento nei meccanismi della produzione di legittimità democratica: gli organismi indipendenti di governance che funzionano come autorità imparziali, di maggiore terzietà, svolgendo interventi significativi di controllo delle concentrazioni dei poteri delle istituzioni pubbliche/private e di regolazione dei conflitti derivanti dall’uso perverso dei beni comuni; la funzione riflessiva delle corti costituzionali che mirano a rispondere in misura più estesa ai bisogni di pluralizzazione posti dai cittadini, alle domande di diritti più adeguati provenienti da singolarità più ricche; le attività di prossimità che promuovono – creativamente e con mezzi inediti – pratiche e istituzioni di maggiore partecipazione da parte dei cittadini21.

 

6. Probabilmente stiamo assistendo al cambiamento radicale della questione moderna della costruzione della forza nei processi di trasformazione delle istituzioni pubbliche impegnate nella funzione decisionale. Non esisterà forse più futuro per soggetti collettivi nominati come popolo/classe/plebe/moltitudine: piuttosto, si fanno faticosamente strada processi diversi di soggettivazione e un nuovo dizionario delle singolarità. Controcondotte e resistenze stanno trovando espressioni diffuse e improvvise in numerose regioni del mondo: nei paesi europei (le rivolte delle banlieaus nel 2005, le recenti ribellioni della gioventù precaria in Inghilterra e, ancora, dei precari e degli immigrati in Italia), nelle regioni del Maghreb, in Yemen, Barhein, Siria, Iran, etc.; tutti questi sono fenomeni innegabili di democrazia insorgente, di veri e propri scarti negli impianti tradizionali di vita che prendono origine dall’azione di singolarità radicali22. In questi casi, sembra che il problema dei mezzi propri della politica non sia più da considerare come funzione esterna ai movimenti e alle pratiche di lotta, assegnata a professionisti/scienziati delle questioni del governo: piuttosto esso diventa il processo dell’impegno diretto delle singolarità nelle forme autonome e reticolari d’invenzione di nuove pratiche di partecipazione alla vita pubblica.

Questa serie di argomentazioni contribuisce a configurare la terza e ultima istanza critica: dispositivi differenti di democrazia partecipativa potranno condurre verso forme più avanzate di democrazia a condizione che queste politiche democratiche si rendano espressione di un differente tipo di governamentalità. Come argomentano Pierre Dardot e Christian Laval, si tratta di inventare un’altra governamentalità, orientare e sedimentare processi alternativi di soggettivazione provocati da controcondotte capaci di innescare pratiche di lavoro cooperativo, di reciprocità, di condivisione dei beni comuni. Alla tensione conflittuale tra governamentalità neoliberale in crisi e politiche di apertura democratica bisogna prospettare come soluzione una governamentalità alternativa che assuma forme di dispositivi politici di partecipazione democratica, adeguati e flessibili per i diversi contesti territoriali23.

Stiamo dunque assistendo all’affermazione di una sorta di dualismo democratico – teoricamente comprensibile grazie al registro oppositivo di eccedenza /eccesso – dove sono in crescente tensione gli strumenti tradizionali della democrazia rappresentativa-elettiva a fronte di prime forme di sperimentazione di dispositivi finalizzata a realizzare una democrazia più avanzata. Difatti, la sponda rigida del neoliberalismo viene scossa da una serie interminabile di proposte di carattere pratico e teorico: vedi la serie di strumenti argomentati in dettaglio da Philippe Schmitter ed Alexander Trechsel per migliorare la democrazia in Europa24; le procedure di democrazia deliberativa teorizzate e praticate a Chelsea (Connecticut) da Susan Podziba25; ancora, incontriamo gli sforzi di teoria e di pratiche rivolte a suggerire proposte tecniche di riforma della democrazia liberale: basti ricordare i progetti di James Fishkin e Ned Crosby, i lavori di Robert Dahl, Jon Elster, Bruce Ackerman26. Da una diversa angolazione, molti studiosi procurano di descrivere e commentare sperimentazioni diffuse in tutto il mondo finalizzate all’attivazione di procedure più intensamente partecipative, all’implementazione dei dispositivi democratici; a tale riguardo bisogna richiamare subito l’importante pubblicazione a cura di Rey-Bacquè-Sintomer – Gestion de proximité et démocratie partecipative. Une perspective comparative – che raccoglie studi e riflessioni su significative realizzazioni in regioni diverse del mondo, laddove risultano praticati dispositivi quali assemblee, giurie civiche, procedure partecipative di bilanci pubblici, utilizzo del sorteggio27.

Si fanno avanti soggettivazioni diverse che operano su un duplice piano: dare corpo a nuovi registri comportamentali e disciplinari incentrati su pratiche/comportamenti che implementano la cura di sé, di vite singolari, dei beni comuni; in questo modo la politica viene contribuendo all’apertura del vuoto delle libertà democratiche procurando di costruire dispositivi di più ampia partecipazione per processi inediti di soggettivazione. L’eccedenza democratica in campo oggi indica allora non tanto una ricerca ideologica su valori e contenuti predefiniti, ma consiste dei tentativi teorico/pratici di oltrepassamento del paradigma attributivo-partecipativo, quindi anche del criterio rappresentativo-elettivo.

Da un lato, il dilemma sempre aperto della presenza della democrazia nel mondo contemporaneo ci mette sull’avviso di garantire e promuovere l’espansione di libere singolarità, concrete e comunque enigmatiche; in questo senso, bisogna con maggiore capacità segnare con la ragione giuridica differenze incancellabili, registrandole nella lista sempre aperta delle carte costituzionali: su questo versante, si tratta di proseguire e ampliare il contributo della modernità. D’altra parte, lo scarto della democrazia futura dovrà essere costituito dall’attuazione di un processo autentico di disoccidentalizzazione dell’impianto giuridico-istituzionale della moderna democrazia: in questo senso è da intendere l’emersione di un peuple excedentaire che arricchisce e sopravanza il popolo costituzionale proprio perché riconosce e assegna ad ogni cittadino la necessità della trasformazione permanente della propria identità e delle istituzioni vigenti28. Il fuoco di questa radicale innovazione – in parte già tracciata nella storia occidentale, nei vissuti delle grandi fratture rivoluzionarie – resta segnato dai gesti di eccedenza oggi riconoscibili nei movimenti di lotta attivi nei paesi recentemente investiti da insorgenze democratiche: le singolarità possono pretendere di produrre autorappresentazione, sedimentando comportamenti di condivisione, reciprocità, autodisciplina. In breve, è forse finalmente all’ordine del giorno della mondializzazione la possibilità di praticare un’arte democratica del governo di sé e degli altri: evitando innanzitutto di rinforzare il primato della ragione strumentale che progetta sul reale con modalità di separatezza; promuovendo la costruzione di dispositivi istituzionali pubblici che costituiscano le espressioni organizzate dei corpi naturali e della vita terrenica degli esseri umani; accrescendo la potenza dell’azione, a volte fragile ma irriducibile, dei singoli che decostruiscono intenzionalmente gli artifici perversi del potere politico.

 

 

Note con rimando automatcio al testo

1 J. Dunn, Il mito degli uguali. La lunga storia della democrazia, Milano, Università Bocconi Editore, 2006.

2 G. Deleuze, Instincts et institutions, Paris, Hachette, 1971 (trad. it. di U. Fadini e K, Rossi, Milano, Istinti e istituzioni, Mimesis, 2002).

3 C. Lefort, Essai sur le politique. XIXe-XXe siècles, Paris, Éditions du Seuil, 1986 (trad. it. di B. Magni, Saggi sul politico. XIX-XX secolo, Bologna, Il Ponte, 2007).

4 J. Ranciére, La mèsentente. Politique et philosophie, Paris, Éditions Galilée, 1995 (trad. it . di B. Magni, Il disaccordo. Politica e filosofia, Roma, Meltemi, 2007);

5 Utilizzo qui il termine utopia nel significato che Karl Polany assegna al carattere distruttivo del mercato capitalistico nella sua opera fondamentale La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Torino, Einaudi, 1974.

6 I testi di riferimento per Michel Foucault sono i corsi delle lezioni Sécurité, territoire, population, Paris, Gallimard-Seuil, 2004 (trad. it. a cura di P. Napoli, Sicurezza, territorio, popolazione, Milano, Feltrinelli, 2005), e Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979, Paris, Gallimard-Seuil, 2004 (trad. it. di M. Bertani-V. Zini, Nascita della biopolitica, Milano, Feltrinelli, 2005).

7 Come commenti critici di sicuro rilievo all’analisi foucauldeana della nozione di gouvernementalité rinvio ai contributi di P. Napoli, Naissance de la police moderne, Paris, La Découverte, 2003, e di P. Dardot e Ch. Laval, La nouvelle raison du monde essai sur l’ordre neoliberal, Paris, La Découverte, 2009.

8 Come introduzione alla categoria di governance vedi i lavori di R. Mayntz, La teoria della governance, in “Rivita italiana di scienze politiche”, XXIX (1999), pp. 3-21; i saggi contenuti nella raccolta a cura di J.N. Rosenau-O. Czempiel, Governance without government: Order and Change in World Politics, Cambridge, 1992; G. Borrelli, Governance, Napoli, Dante & Descartes, 2004; D. Held-M. Koenig-Archibug, Global Governance and public Accountability, Blackwell Publishing, Mal-den/London/Victoria, 2005.

9 B. Kohler-Koch-R. Eising, The Transformation of Governance in the European Union, Routledge, New York, 1999; S. Puntscher Riekmann, Die kommissarische Neuordnung Europas, Wien-New York, Springer, 1998; G. Borrelli, La democrazia di governance tra crisi di legittimazione e dispositivi d’emergenza, in G. Fiaschi (ed.), Governance: oltre lo Stato?, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2008.

10 R. Dahl, Dilemmas of pluralist Democracy, Yale, Yale University Press, 1983 (I dilemmi della democrazia pluralista, Milano, Il Saggiatore, 1988).

11 M. Foucault, Crise de la médecine ou crise de l’antimédecine?, 1976, in Dits et écrits, II, Paris, Gallimard, 1994, p. 42

12 B. Stiegler, Prendre Soin: Tome 1, De la jeunesse et des générations, Paris, Flammarion, 2008, ed ancora Économie de l’hypermatériel et psychopouvoir, Paris, Mille et une nuits, 2008.

13 Rinvio al recente importante lavoro di Massimo Recalcati, L’uomo senza inconscio, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2010.

14 O. Dabéne-V. Geisser-G.Massardier (eds.), Autoritarismes démocratiques et démocraties autoritaires au XXIe siècle. Convergences Nord–Sud, Paris, La Découverte, 2008.

15 C. Crouch, Postdemocrazia, Roma-Bari, Laterza, 2003.

16 E. Laclau, La ragione populista, Roma-Bari, Laterza, 2008.

17 J. Dunn, Disambiguating democracy, in M. Lenci-C. Calabrò (a cura di), Viaggio nella democrazia, Pisa, ETS, 2008.

18 I punti di partenza per questo problema sono notoriamente per Platone, Repubblica, 557-561 e per Machiavelli, Principe, IX.

19 Ch. Marazzi, Il posto dei calzini, Bellinzona, Casagrande, 1997 (poi, Bollati Boringhieri, 1999); ed ancora, Y. Moulier Boutang, Le capitalisme cognitif, Paris, Éd. Amsterdam, 2007.

20 R. Braidotti. Trasposizioni. Sull'etica nomade, Roma, Luca Sossella Editore, 2008.

21 P. Rosanvallon, La légitimité démocratique. Impartialité, réflexivité, proximité, Paris, Seuil 2008.

22 M. Abensour, La Démocratie contre l’État. Marx et le moment machiavélien, Paris, Éditions di Félin, 2004 (trad. it. di M. Pezzella, La democrazia contro lo Stato. Marx e il momento machiavelliano, Napoli, Cronopio, 2008).

23 Vedi sempre di P. Dardot e Ch. Laval, La nouvelle raison di monde essai sur l’ordre neoliberal, cit.

24 Ph. Schmitter-A.Trechsel, Il futuro della democrazia. Stato di fatto e proposte di riforma, Roma, Sapere 2000, 2006.

25 S. Podziba, Chelsea Story, Milano, Bruno Mondadori, 2006.

26 Vedi almeno B. Ackerman-J. Fishkin, Deliberation Day, Yale College, 2004; J. Fishkin, Il sondaggio deliberativo: perché e come funziona, in G. Bosetti- S. Maffettone (cura di), Democrazia deliberativa: cosa è, Roma, Luiss University Press, 2004; J. Elster (ed.), Deliberative Democracy, Cambridge, CUP, 1998.

27 M.H. Bacqué-H. Rey-Y. Sintomer (eds.), Gestion de proximité et démocratie partecipative. Une perspective comparative, Paris, Éditions La Découverte, 2005.

28 Vedi l’Introduction di N. Lenoir al volume di I. Koch-N. Lenoir (eds.), Démocratie et espace public: quel pouvoir pour le peuple?, Hildesheim-Zürich-New York, 2008.