Dal maggio 2022 su questa rivista non sono più accessibili molte immagini d'arte coperte dal copyright dei proprietari, ovvero generalmente musei e collezioni. Nella gran parte dei casi, l'immagine risulta vuota ma è leggibile la sua didascalia, per cui resta possibile la sua visualizzazione nei legittimi contesti.

Redazione e contatti

Cerca nel sito

Enrique Dussel, 20 tesi di politica


 

 

Enrique Dussel

20 tesi di politica

 

a cura di A. Infranca,  Asterios, Trieste 2009,
pp. 187,  €. 19,00.

 

 

 

 

 

Di Enrique Dussel, filosofo argentino che vive da molti anni in Messico, padre della filosofia della liberazione e raffinato commentatore dell’opera di Marx,  esce in questi giorni in Italia un libro  – Venti tesi di politica, (traduzione e introduzione di Antonino Infranca, Asterios Trieste 2009, pp. 187, €19,00) – che raccoglie scritti appartenenti alla cosiddetta “seconda produzione teorica” dell’Autore iniziata con Etica de la Liberación e proseguita conla ciclopica  Politica della Liberación. Soloda pochi anni  il mercato editoriale italiano ha cominciato a scoprire  questo prolifico e robusto pensatore latino americano, al punto che oggi circolano nel nostro paese almeno  sette volumi (Etica comunitaria, Storia della chiesa in America latina, Filosofia della liberazione, La chiesa in America latina, L’occultamento dell’altro, Un Marx sconosciuto, Filosofia della liberazione ed etica della comunicazione) che un po’ costituiscono la summa della sua proposta teorica e politica di liberazione. Le 20 Tesi di Politica sono un parziale estratto della Politica della Liberación e contengono provocatoriamente una teoria e una prassi di liberazione per le generazioni del XXI secolo. Nella forma trascinante ed esplosiva delle tesi che evocano un’illustre tradizione del pensiero critico da Feuerbach a Marx, da Lenin a Benjamin, il filosofo argentino  tenta di delineare una rifondazione della politica intesa come praxis, come attività che deve passare attraverso una ridefinizione anche dei suoi termini, dei suoi campi,  e delle sue sfere e  nella quale i rapporti fra gli uomini siano fondati sulla giustizia effettiva e l’uguaglianza reale. A tal fine egli indica nei movimenti di liberazione che oggi stanno scuotendo l’America latina (il movimento del lavoratori Sem Terra, i Forum sociali di Porto Alegre, lo zapatismo, Chavez e Morales, i governi di centro-sinistra in Cile, Argentina e Brasile)  un laboratorio sperimentale e creativo, uno spazio politico di grandi potenzialità anche per il Primo Mondo.

Il nucleo originale delle tesi è costituito  da quello che Dussel chiama il potere obbedienziale (tesi 4), che è una categoria nuova e destrutturante  nel lessico politico tradizionale poiché la concezione del potere è declinata come ob-bedienza nel senso che «ascoltare colui che si ha davanti» è il compito prioritario che deve esercitare colui che rappresenta il popolo; chi è chiamato a svolgere responsabilità di governo ha il dovere di obbedire cioè di ascoltare. Per Dussel, essere chiamati dalla comunità, dal popolo è la vera vocazione di colui che va ad assumere la responsabilità del potere come servizio.

Chi comanda è eletto per esercitare in forma delegata il potere della comunità. O in altri termini, l’uomo politico comanda solo alla condizione che stia obbedendo.

Il rischio è che questo potere per delega si autonomizzi e che il rappresentante dimentichi il rappresentato, dimentichi che il potere è obbedienza e abdichi a quella funzione etica di servizio dell’uomo politico verso quelli che sono la fonte del suo potere. Nel discutere questa concezione dusseliana del potere si è tentati di fare qualche riferimento all’Italia dì oggi sempre più gravemente infetta dalla pulsione totalitaria di un uomo che ha fatto della corruzione e del comando i perni essenziali della sua azione politica.  Dussel descrive con straordinaria efficacia il fenomeno della feticizzazione del potere (tesi 6) che consiste nella “Volontà-di-potere” come dominio e controllo illimitato sul popolo, sugli altri, sui deboli, che «comincia con l’avvilimento soggettivo del singolo rappresentante, che ha il gusto, il piacere, il desiderio, la pulsione sadica dell’esercizio onnipotente del potere feticizzato sui cittadini disciplinati e obbedienti» (p.67). Esito di questo processo sono la  corruzione e l’infiltrazione di poteri criminali nell’azione politica..

L’analisi dusseliana che fa sempre leva  sulla situazione di sudditanza dei popoli delle periferie del mondo ha l’indubbio merito di focalizzare limiti e fragilità delle democrazie liberali e rappresentative a partire dall’inadeguatezza della nozione stessa di democrazia che, per lo meno, va rigenerata o risignificata come lasciano intendere anche i recenti e stimolanti contributi  di Jean Luc Nancy, La verità della democrazia e di Jacques, Rancière, L’odio per la democrazia, entrambi editi da Cronopio.

A fronte della continua sussunzione degli strumenti di governo da parte di agenzie globali, formali e informali, la crisi della democrazia rappresentativa è un fatto irreversibile. Il popolo - scrive Dussel - invece di essere servito dal rappresentante, diventa il suo servitore. Si affermano così le élite e le burocrazie politiche come autoreferenti senza che queste debbano più rispondere alla comunità politica.

La democrazia per Dussel, così come oggi è, cioè meccanismo di procedure, istituzionalizzazione delle mediazioni, governabilità,  non può più funzionare o almeno non appare più come un sistema credibile di garanzia per far migliorare la vita umana della comunità e del popolo. Risulta fondamentale la distinzione dusseliana in campo politico tra la potentia cioè il potere del popolo, il potere in sé (tesi 2) e la potestas che è il potere fuori di sé, il potere organizzato, istituzionalizzato (tesi 3) per meglio afferrare termini come campo politico o azione politica. Quando la potentia si oggettiva o si aliena  nel sistema delle istituzioni politiche, viene a mancare, a svuotarsi  il potere dal basso, cioè il potere liberatore del popolo (tesi 12).

Popolo e popolare (tesi 11) nel linguaggio dusseliano non hanno nulla a che vedere con le concezioni estetizzanti e romantiche  che hanno plasmato il lessico culturale e politico europeo degli ultimi secoli. L’Autore  si preoccupa di sottolineare che il popolo è una categoria  strettamente politica che ingloba l’unità di movimenti sociali, di classe, di pratiche antagonistiche in lotta;  il popolo è un attore politico collettivo capace di rappresentare la vera alternativa per il futuro. Ritorna in questi passaggi un tema molto caro a Dussel sin dai tempi della sua lettura del Capitale di Marx che è quello dell’etica come l’a priori per una critica dell’economia politica poiché la lotta per l’emancipazione è sempre una lotta per il riconoscimento della vita umana degli oppressi e degli sfruttati, della loro volontà-di-vivere. La nobile funzione della politica presuppone l’etica o per meglio dire un riaggiornamento degli imperativi categorici kantiani che Dussel rinomina come  “postulati politici” capaci di orientare la prassi e sostenere l’azione politica in ogni sfera di sua competenza. Nel tracciare una tipologia dei postulati (ad esempio, il postulato politico  nella sfera ecologica è garantire perpetuamente l’esistenza della vita sul nostro pianeta mentre quello nella sfera economica è preservare il tempo della vita umana attraverso la “riduzione della giornata lavorativa” e così via), Dussel assume la dignità della natura umana come criterio assoluto di ogni normatività. Se è vero che ogni  prassi trasformativa deve partire da un’opzione etica prima ancora che politica (tesi 16) che abbia nel popolo la sua spinta propulsiva, è altrettanto vero, però, che il pensiero di Dussel rimane impigliato nelle maglie di un messianesimo un po’ profetizzante con tanti Messia che popolano il continente latino-americano; per questo è assai difficile estrarre da esso indicazioni strategiche ed operative per la sinistra europea (in specie quella italiana) oggi più che mai in affanno nella costruzione di un ordine futuro.

.