Dal maggio 2022 su questa rivista non sono più accessibili molte immagini d'arte coperte dal copyright dei proprietari, ovvero generalmente musei e collezioni. Nella gran parte dei casi, l'immagine risulta vuota ma è leggibile la sua didascalia, per cui resta possibile la sua visualizzazione nei legittimi contesti.

Redazione e contatti

Cerca nel sito

Le lacrime di Penelope e il vento del pensiero

 

 

Premessa

Quando Hannah Arendt comincia a scrivere le Gifford Lectures che doveva tenere all’Università di Aberdeen in Scozia, nella primavera del 1973 e in quella successiva, ha già in mente un’opera che doveva esaminare le nostre attività spirituali («pensare», «volere» e «giudicare») e lo fa a partire dalla meraviglia, oggetto e origine della filosofia. L’uso del termine meraviglia attraversa come un Leitfaden molti scritti arendtiani, perché il punto di partenza del pensare non è il dubbio o il sospetto, ma lo stupore generato dal trovarsi di fronte al mondo, di fronte alle persone con cui ci relazioniamo, di fronte alla nostra stessa esistenza. Il mondo, gli altri, la nostra esistenza sono sempre una fonte di curiosità e non cessano di stupirci.

Le Gifford Lectures, che erano state affidate in passato a pensatori come William James, Henri Bergson, Karl Barth, Etienne Gilson e Gabriel Marcel, offrirono l’occasione ad Hannah Arendt di allestire The Life of the Mind, l’opera sua ultima e incompiuta, pubblicata solo nel 1978, tre anni dopo la morte dell’autrice avvenuta a New York nel dicembre del 1975. Si tratta di un’opera di grande spessore teoretico che attraversa quel mare in gran tempesta che è la tradizione filosofica occidentale per, alfine, superarla. ...