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L’Italia come “mondo atono”

L’Italia come “mondo atono”: alcune considerazioni politico-filosofiche a partire da Alain Badiou (e non solo).

 

 

 

 

Le brevi riflessioni che seguono intendono cercare di esaminare il “ caso Italia”, così peculiare nel contesto europeo, a partire da un concetto fondamentale coniato da Alain Badiou in Logique des mondes: quello di “mondo atono”.

Nella prima parte, cercherò rapidamente di esporre questo concetto, applicandolo poi concretamente alla situazione di chiusura propria della politica e della società italiane; nella seconda, farò dialogare provocatoriamente Badiou con Costanzo Preve e con Domenico Losurdo perché risulti più chiaro che, di fronte alla crisi italiana, di tutto abbiamo bisogno tranne che di interpretazioni “moralistiche” o paranoiche.

So che citare Preve non è certo “politicamente corretto”, ma penso anche che sia necessario e filosoficamente adeguato citarlo, giacché si tratta di uno studioso serio che argomenta con chiarezza, al di là della condivisibilità o meno di certe sue letture del marxismo (ma anche della politica italiana).

 

  1. Mondi “atoni” e soggetti “reattivi”.

Chi conosca almeno parzialmente il testo di Badiou, non avrà difficoltà a comprendere il senso di quest’accostamento; tuttavia è necessario precisare prima i due concetti per non incorrere, dopo, in spiacevoli fraintendimenti.

Per Alain Badiou, un mondo “atono” è un mondo in cui “il suo proprio trascendentale non ha alcun punto”, ovvero in cui non è possibile che si dia alcun cambiamento profondo attraverso la fedeltà a un evento.

Siccome il concetto di trascendentale in Badiou ha un significato non-kantiano, sarà bene chiarire perché è così e che cosa ne consegue: il trascendentale di un mondo “indica la capacita costitutiva propria di ogni mondo di attribuire a ciò che ‘sta’ in quel mondo delle intensità variabili”. In altre parole, dei gradi maggiori o minori di esistenza. Il trascendentale è un mondo dove appaiono come oggetti delle molteplicità pure, o ancora meglio, è uno dei funtori della Logica in quanto teoria dell’apparire in un mondo. Lascio volontariamente da parte l’apparato logico-matematico a cui fa ricorso Badiou, perché non è davvero necessario per gli scopi limitati del presente saggio: ciò che è importante rilevare, è che capire bene il concetto di trascendentale è fondamentale per intendere quello di mondo e, di conseguenza, di mondo “atono”. Il mondo è in prima istanza il luogo in cui appaiono degli oggetti – e, in secondo luogo, in cui possono o non possono avvenire dei cambiamenti profondi.

Il materialismo democratico – seguo qui la terminologia di Badiou – è allora l’esempio più chiaro di un “mondo atono”. Tutto è già determinato una volta per tutte, nulla può accadere e dunque non si deve – né si può – decidere nulla. Il mondo del materialismo democratico è il mondo della “fine della storia” e della noia amministrata.

Se questo è vero, allora è ancor più vero che l’Italia rappresenta l’esempio per antonomasia di un “mondo atono”.

Al “mondo atono” corrisponde la figura del “soggetto reattivo” – ammetto a questo punto di forzare il testo di Badiou, poiché il filosofo francese non istituisce nessuna correlazione necessaria tra i due concetti. In ogni caso, cercherò di definire meglio le caratteristiche di questo tipo di soggetto; la prima caratteristica di questo soggetto è quella di “resistere alle novità”; detto in altre parole, di opporsi alla possibilita di un cambiamento profondo attraverso la “negazione della traccia di un evento”.

Come precisa Badiou, però,

(…) la figura reattiva non può consistere solo in questa negazione. Essa non è la pura negazione della traccia evenemenziale, poiché essa stessa pretende di produrre qualcosa.
E anche, spesso sotto le mentite spoglie dell’essere-moderno, di produrre qualcosa di nuovo.1

 

Piccole riforme non significative, ad esempio, possono illudere i lavoratori che qualcosa alla fine stia cambiando, mentre in realtà non sta cambiando nulla.

L’atteggiamento dei soggetti reattivi, per Badiou, è quello “termidoriano” – in altre parole reazionario, che tuttavia, come abbiamo visto, può agire dietro la copertura di un falso riformismo. Mostrerò poi, nel paragrafo seguente, alcuni esempi significativi dell’esistenza e della prevalenza dei “soggetti reattivi” nel caso italiano – perché in effetti di un vero e proprio “caso” si tratta.

Ancora una precisazione: nella tabella riassuntiva che conclude il primo libro di Logique des mondes, Badiou aggiunge una specificazione che mi risulterà molto utile in seguito: il soggetto reattivo è caratterizzato dal “diniego” (déni), parola significativa che io interpreto nel doppio senso di un “rifiuto di prendere atto” di una situazione e di un più generale “dire di no”, di un opporsi a ogni tipo di cambiamento.

Questo tipo di soggetto dunque non solo “dice di no” a priori a ogni possibilità di cambiamento, ma “rifiuta” anche di “vedere” la traccia dell’evento. Ora, ho volutamente accentuato, rispetto al testo di Badiou, la correlazione tra “mondo atono” e “soggetto reattivo”, proprio perché mi servirà per delineare le caratteristiche della politica italiana, soprattutto negli ultimi vent’anni.

Il mondo “ atono” così descritto è un mondo in-fedele all’evento.

Prima di passare a una sorta di fenomenologia concreta di tale politica, vorrei però ricordare che nel mondo “atono” può essere in agguato un altro tipo di soggetto, senz’altro più inquietante e pericoloso: il “soggetto oscuro”.

Secondo la definzione di Badiou, un soggetto oscuro è

Un formalismo soggettivo la cui operazione consiste nell’occultamento di un presente attraverso l’imposizione al corpo del soggetto fedele e alla traccia evenemenziale, di una negazione violenta…2

 

Questa forma di rapporto-col-presente, a mio avviso, è oggi rara (almeno in Europa) ma comunque operante, almeno in potenza, come possibilità di reazione violenta tendente a negare il “soggetto fedele”, anche fisicamente.

Ripeto: per ora questo non si è verificato in Italia perché il soggetto dominante da noi è il “soggetto reattivo” – a cui aggiungerei una caratteristica, la capacità di “disinnescare”

qualsiasi possibilità di cambiamento attraverso l’inganno ideologico.

Alcune precisazioni riguardo al “ soggetto oscuro” badiouano. Con questo termine , Badiou intende indicare un tipo di soggetto che non aderisce certamente all’evento, tende a negarlo, anche in forma violenta e opera per la distruzione del mondo, a differenza del soggetto “reattivo” che mira piuttosto alla conservazione del mondo così com’è, alla conservazione dello “ stato delle cose”. Il soggetto oscuro mira a fornire una rappresentazione unitaria della realtà, assolutamente priva di discontinuità.3

La formalizzazione di Badiou, che in questo caso assumo liberamente, permette di avere a disposizione uno strumento teorico molto forte per pensare la chiusura della politica italiana e le grandi difficoltà che si incontrano quando si cerchi di aprire un qualche varco.4

 

  1. Il paese del “disinnesco”: breve storia di un cambiamento mancato (con un dialogo politicamente scorretto con Costanzo Preve).

 

Questa seconda parte del saggio si presenta come una “ fenomenologia del concreto” nella quale cercherò di dare contenuto al “ mondo atono” descritto formalmente in precedenza.

La scelta di dialogare con un autore “politicamente scorretto” come Costanzo Preve potrebbe ovviamente sorprendere o suscitare qualche dubbio; tuttavia, ritenendolo un pensatore molto significativo per chiarire il senso dell’attualità del comunismo e dell’attuale penosa situazione politica italiana, nonché degnissimo di citazione, difenderò la mia scelta.

Comincerò quindi con un’ampia citazione di Costanzo Preve, la quale sarà meritevole di un approfondimento:

 

Il berlusconismo è un prodotto diretto di Mani Pulite, e cioè di uno sporco colpo di stato giudiziario extraparlamentare rivolto ad abbattere una prima repubblica non tanto craxiana e demitiana, quanto consociativa, partitica, keynesiana ed assistenzialistica (ed assai migliore della seconda, in quanto meno spudoratamente neoliberale). Lungi dall’essere stati i suoi nemici originari, i giudici della cupola di Mani Pulite (prescindo qui del tutto dalla loro irrilevante onestà o buona fede soggettiva) sono stati coloro che lo hanno portato al potere politico. Eliminando un’intera classe politica (per conto del capitale finanziario, non certo del miserabile PCI), costoro hanno di fatto aperto la strada al ceto politico corrotto, nichilista e mercenario del vecchio PCI. Ma il bacino elettorale della DC, del MSI e del PSI restava intatto, ed allora Berlusconi ne assunse la rappresentanza. E come la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, nello stesso modo Berlusconi è stato soltanto la continuazione del blocco di potere DC-PSI (integrato dal MSI riciclato in destra prima neofascista, e poi apertamente sionista-antifascista) nella nuova fase storica apertasi con il crollo del comunismo storico novecentesco.

Paradossalmente, la vittoria elettorale di Berlusconi nel 1994, salutata dagli intellettuali di sinistra come il ritorno dell’eterno fascismo, fu una riaffermazione della democrazia contro il golpismo giudiziario extraparlamentare di due anni prima. Certo, non la democrazia di Rousseau e di Marx, ma semplicemente la democrazia alla Tocqueville come semplice sovranità del principio di maggioranza. Tutto questo non ha ovviamente nulla a che fare con il cosiddetto “populismo”, categoria inesistente come il flogisto. Il blocco storico-politico restò quello della prima repubblica, con gli aggiustamenti estetici ed antropologici resi necessari dal passaggio dalla vecchia economia di mercato a direzione culturale borghese alla nuova società integrale di mercato a direzione culturale postborghese (egemonia simbolica dei nuovi ricchi, degli apparati pubblicitari e della feccia mediatica invasiva).5

 

Primo motivo di convergenza con le analisi di Preve: la questione della penosa e pericolosa situazione politica (e culturale) dell’Italia non può essere affrontata se non si tiene conto della triste parabola PCI-PDS-DS-PD, forse la più triste tra tutte le metamorfosi subite dalle sinistre europee. Anticipo qui la tesi che sosterrò più oltre: l’Italia è un paese dove si è praticato sistematicamente il “disinnesco” di qualsiasi pensiero radicale e critico anche e soprattutto per opera degli ex-comunisti; ovviamente è una tesi molto forte, ma di questo sono pienamente convinto e in questo senso mi sento vicino a Preve – il che non significa, lo sottolineo, condividerne il “ pessimismo”. Per carità, non intendo negare le conseguenze nefaste del berlusconismo, anzi, ma vorrei sottolineare che proprio là dove si sarebbe dovuti intervenire per limitarle, si è nei fatti consentito il diffondersi di una vera e propria “mentalità regressiva” che ha contagiato tutto il paese.

In secondo luogo, un altro motivo di convergenza rispetto alla lettura di Preve riguarda Mani Pulite, anche se personalmente leggerei diversamente questo episodio della storia recente; tuttavia convivido molte delle conseguenze che Preve trae dall’azione dei giudici contro il vecchio ceto politico; solo, per il momento, aggiungerei che essa ha prodotto, tra le altre cose, la prevalenza dell’etica sulla politica e dell’indignazione morale (improduttiva) sulla critica radicale.

Senza la collaborazione esplicita della sinistra moderata – e non solo, come si vedrà –l’Italia non sarebbe il “mondo atono” che è, dominato da “soggetti reattivi”, contrari a qualsiasi cambiamento politico e sociale. Proprio in questo senso possiamo affermare che l’Italia contemporanea corrisponde appieno alla caratteristiche del “ mondo atono” teorizzato da Badiou.

L’Italia dunque, “commissariata” politicamente, “disinnescata” culturalmente – anche attraverso l’imposizione di “ritornelli” politicamente corretti, utili soltando a riprodurre l’esistente, è probabilmente destinata a rimanere un paese periferico, da una parte, e dall’altra – anche se il PD vincesse le prossime elezioni – un paese refrattario a ogni tipo di cambiamento radicale – e di abbandono della sudditanza ai dettami del tardo- capitalismo.6

D’altra parte non è così strano, se si pensa che qualsiasi tentativo di riproporre delle analisi radicali della situazione del paese (marxiste e no) viene immediatamente stigmatizzato quando non attaccato in modo vergognoso.

Le dure analisi di Preve, a mio avviso, sono utili proprio perché vanno oltre il “politicamente corretto” che domina la scena politica (e filosofica!) italiana, mostrando con chiarezza quali siano i “veri nemici” della democrazia.

Contro questi nemici, di “destra” o di “sinistra” sembra che nessuno voglia procedere: nel mondo “atono” rappresentato dall’Italia la strategia complessiva è piuttosto quella della protesta “moralistica” che non approda a nulla e che anzi impedisce qualsiasi prassi alternativa e qualsiasi cambiamento politico e sociale.

Il “grido di dolore” e l’“urlo di sdegno” sembrano le uniche forme di protesta consentite: come direbbe Badiou, l’etica si è sostituita alla politica!

Naturamente questa analisi potrebbe essere estesa, con varie reserve, anche ad altri paesi europei (alla Francia in particolare). Come ha sottolineato con chiarezza André Tosel in un recente articolo,

Insistiamo sull’importanza del ruolo giocato dal consenso truccato e dalla dittatura tecno-politica del nuovo sistema dei media. Ci troviamo qui di fronte a un nuovo problema che ha un peso molto forte nella degenerazione della democrazia, anche realista, in anti-polis. Il sistema mondializzato dei media elimina quel che rimane della sfera dell’opinione pubblica e che era un requisito democratico minimo, mantenuto da Kelsen e da Schumpeter, da Bobbio e da Aron. La formazione discorsiva del consenso, tanto cara ad Habermas, è resa impossibile dalla teledemocrazia mondializzata. Pochi filosofi e sociologi in Francia, eccetto Régis Debray e Pierre Bourdieu, hanno preso in considerazione questa trasformazione. C’ è solidarietà, in effetti, tra la costituzione di alternative politiche e la sfera dell’opinione pubblica. La competenza degli incompetenti non può essere esercitata senza un’informazione ricca e articolata, capace di fomentare delle discussioni ricche di contraddittori. Se questa sfera della Publizität non è mai esistita secondo il suo concetto, essa ha trovato dei sostituti effettivi nella stampa politica e nei dibattiti pubblici contemporanei sul Welfare State.

Oggi i problemi presentati all’opinione pubblica dalle televisioni sono già sempre determinati da negoziati più o meno segreti tra attori politici ufficiali, sotto il controllo dei rappresentatnti delle grandi imprese economiche e finanziarie nazionali e internazionali. Le decisioni prese in questi cicli anteriori di transazioni non lo sono in virtù di un codice deontologico fondato sul principio dell’informazione completa e del non-occultamento dei dati. Le decisioni non derivano da un processo di formazione di un consenso razionale intorno a valori comuni, come sosteneva ancora la teoria realista. Il consenso effettivo è un prodotto che non è regolato da alcuna norma etica fondata su delle regole universalizzabili. E’ invece prodotto a posteriori per giustificare le decisioni prese all’interno delle reti delle oligarchie politiche ed economiche.

La comunicazione politica messa in opera dal sistema multimediale distoglie in modo strutturale l’attenzione dai porblemi decisivi e neutralizza l’argomentazione contraddittoria sotto un flusso torrenziale di informazioni e di pregiudizi. La debolezza dell’attenzione del cittadino ordinario, già sottolineata da Schumpeter, è riprodotta e aggravata in modo da impedire la formazione di u giudizio politico autonomo: Le informazioni sono fuse tra di loro in un magma emotivo che prepara, attraverso la sua retorica, o meglio attraverso la sua sofistica, i cittadini ormai trasformati in consumatori a diventare dei “guardoni” spinti a non avere altro sguardo se non quello dello spettatore sui problemi degli altri, ad astenersi da ogni giudizio propriamente politico e ad essere soddisfatti da meri giudizi moralistici elementari. L’impotenza del pensiero è organizzata con riferimento alle masse. Questo modellamento dell’opinione si basa sulla frammentazione delle informazioni, sulla cancellazione di ogni principio di riflessione diverso da quello proposto dalla messa-in-immagine.

Questo commento esclude ogni tipo di problematizzazione in termini di conflittualità “ragionata” e impone la “ moralizzazione” di tutti i problemi politici e incoraggia la “rinuncia intellettuale”, affermando la complessotà tecnica dei problemi stessi. Rinforza così i meccanismo propri di un pensiero automatico o da sonnambuli “ di massa” che permette la sua eliminazione in quanto pensiero critico e che non ha nemmeno la percezione di questa autoliquidazione. Questo commento multimediale elimina ogni forma di analisi contraddittoria. Una visione del mondo totalizzante, davvero totalitaria si accredita in questo modo e si rende “ naturale”, a partire da delle semplificazioni moraliste. Così, ad esempio, diventa patrimonio comune che le nuove guerre della mondializzazione, Irak, Yugoslavia ( ecc.), non erano altro che delle crociate del Bene contro il Male; che vi sono troppi immigrati e che una dose di nazional-razzismo è davvero necessaria; che i disoccupati sono dei profittatori e che i grandi manager delle imprese hanno ragione di andare in pensione con delle stock options che rappresentano di per sé una frode. Una catastrofe antropologica è qui chiara e non vista, ma per il momento inarrestabile! 7

 

La “messa in immagine” propria delle nostre “telecrazie” contribuisce certamente al “disinnesco” del potenziale critico ancora e nonostante tutto presente nelle società europee; in quella italiana, un ulteriore aggravio è rappresentato dalla totale subalternità politica della sinistra moderata all’imperialismo statunitense e al dogma neoliberista – e le cose, come afferma anche Preve, vanno chiamate con il loro nome. Così come ha ragione Tosel quando definisce tale “visione del mondo” “totalitaria” e organizzata intorno a dicotomie moralistiche. In questo senso, Preve e Tosel possono completare e integrare la cornice concettuale che ho proposto, attraverso una libera elaborazione del pensiero di Badiou.

Con un’avvertenza: non è facendo della “telecrazia” l’oggetto principale di analisi, che si potrà comprendere davvero il significato della degenerazione della democrazia alla quale stiamo assistendo, spesso impotenti. La causa principale è da individuarsi piuttosto nella particolare forma assunta dalla nostra sudditanza ai dettami del neoliberismo imperante e all’affermarsi, attraverso il bipolarismo, di un’oligarchia “oscura”, egoista e senza la capacità di comprendere il presente.

Certo, la “catastrofe antropologica” avvertita da Tosel è probabilmente possibile soltanto in un “mondo atono” dove non può accadere nulla; solo in Italia, a mio avviso, la “ditattura” dei mercati ha potuto affermarsi proprio grazie al non più esistere di un’opposizione degna di questo nome.

In tutto questo, gli intellettuali italiani si sono distinti e si distinguono – con le dovute eccezioni – per la loro sudditanza rispetto al modello americano e per la loro complementarità al “mondo atono” che impedisce qualsiasi cambiamento significativo: occorre ribadirlo perché risulti più chiaro...

Anche per questo propongo di caratterizzare questo atteggiamento, come ho anticipato, attraverso il concetto di “disinnesco”; il “disinnesco” come strategia consiste nello svalutare, minimizzare e fraintendere qualsiasi tesi radicale venga presentata, svuotandola del proprio contenuto e considerandola “infantile” o “mancante di giustificazione teorica (soprattutto se fa riferimento a Marx, com’è ovvio!).

Preve ha presentato recentemente un’analisi molto interessante della figura dell’intellettuale italiano medio che non fa che confermare la mia lettura.

Come nota Preve,

La fine della funzione intellettuale si accompagna con la visibilità mediatica ossessiva di intellettuali conferenzieri, simili ai Luciano ed agli Apuleio del tardo impero romano. La cultura diventa integralmente spettacolo con la passivizzazione dello spettatore. Diventati specialisti universitari attraverso la esasperata divisione accademica delle discipline (funzionale alla moltiplicazione di cattedre, dipartimenti e finanziamenti), gli intellettuali non solo si suicidano, ma si riproducono solo attraverso la cooptazione conformistica delle cattedre universitarie. Mentre per diventare poliziotti, magistrati o insegnanti di scuola media ci vogliono pur sempre concorsi selettivi in busta chiusa in cui vengono corretti testi rigorosamente anonimi, i concorsi universitari (parlo qui ovviamente solo delle facoltà di filosofia e di scienze sociali) vengono effettuati sulla base dell’integrale cooptazione, in cui il conformismo ideologico politicamente corretto fa premio su qualsiasi altra forma di merito, nonostante l’ipocrita e ritualistico richiamo ad una inesistente “meritocrazia”. Questo fa diventare gli intellettuali (parlo non del singolo, che può anche cantare fuori dal coro, ma del gruppo sociale in quanto tale) uno dei gruppi sociali più conformisti ed “integrati” dell’intero orbe terracqueo. Se oggi il codice dominante è quello individualistico della libertà del consumatore, possiamo essere sicuri che i gruppi intellettuali mediatici ed universitari se ne faranno portatori, non tanto nella forma esplicita e diretta (demandata ai pubblicitari), quanto nella forma indiretta della sistematica diffamazione di tutte le forme di pensiero non omogenee a quest’ultimo, non importa se di destra (Ezra Pound) o di sinistra (Karl Marx). Gli intellettuali sono oggi portatori di quello specifico estremismo di centro che possiamo definire conformismo post-moderno.8

 

Tale “conformismo post-moderno” si esprime per lo più attraverso la strategia del “disinnesco”9 sistematico della critica radicale – quando non nell’aperta diffamazione, come ricordato.

Grazie all’“azione complementare” di molti intellettuali, il mondo rappresentato dalla società italiana può restare “atono” – con l’aggravante che in esso si possono manifestare facilmente “soggetti oscuri”, pronti a provocare una vera e propria catastrofe sul piano politico e sociale.

In generale, di questi soggetti molto pericolosi anche perché per lo più interni al sistema democratico, la sinistra – anche quella radicale – non ha il pur minimo sentore, oppure ne è complice.

Lo stesso si può dire rispetto alla questione del debito pubblico e del pericolo di default.

Si agisce con dei palliativi senza mettere in discussione la cornice complessiva del tardo capitalismo – sfruttando anche il progressivo rimbambimento delle masse (e non solo, ovviamente).

A proposito della situazione politico-economica italiana attuale, Preve chiarisce un punto fondamentale:

La società capitalistica di oggi si riproduce “a destra” in economia, perché l’economia deve restare assolutamente sovrana nel decentralizzare la produzione industriale, nel pagare come vuole in modo stellare i suoi calciatori, i suoi managers e le sue puttane, nell’organizzare il lavoro salariato in modo precario e flessibile, eccetera. Le invocazioni moralistiche alla Ratzinger ed alla Luciano Gallino vengono tollerate, ed anzi addirittura lodate, purché ovviamente restino del tutto ineffettuali.

In confronto all’attuale feroce dittatura dell’economia, le dittature di Nerone, Gengis Khan, Hitler, Stalin e Mussolini sono semplici volenterosi tentativi artigianali.

La società capitalistica di oggi si riproduce “al centro” in politica, perché la gestione politica, consegnata nelle mani di burocrati mercenari privi di qualsiasi residuo di coscienza infelice, deve “stringere” al centro per massimizzare il suo consenso elettorale passivo, riservando alle rispettive “estreme” gesticolazioni pittoresche di tipo ostensivo (no alla guerra a sinistra, no alla criminalità a destra, sì a femministe e gay a sinistra, sì alle famiglie a destra, eccetera). Non a caso in Italia, uno dei paesi politicamente più degenerati dell’intera Europa occidentale, a causa della necessità sistemica di sdoganare e di normalizzare i precedenti comunismo e neofascismo, non si parla neppure più di Destra e di Sinistra, ma esclusivamente di Centrodestra (PDL e alleati) e di Centrosinistra (PD e alleati).10

 

Se tutto questo è vero, e io credo che sia vero in buona parte, allora, di fronte alla crisi economica, sociale e culturale del paese, occorre reagire rapidamente e con fermezza, abandonando molti vecchi fantasmi della sinistra.

L’Italia è sicuramente il laboratorio più avanzato per la costruzione del nuovo regime autoritario necessario alla conservazione del sistema neoliberista: ammettiamo pure che Berlusconi se ne vada o venga cacciato; comunque sia, un governo “tecnico” che lo sostituisse avrà mano libera per realizzare tutte quelle riforme che il mercato “impazzito” sta chiedendo a gran voce. E molto probabilmente nessuno saprà reagire in tempo: comunque, non bisogna abbandonare del tutto la speranza.

Il “mondo atono” è dunque il prodotto, tra le altre cose, del capital-parlamentarismo (con i complementi della “telecrazia”, di una legge elettorale assurda e della sempre maggiore indistinguibilità tra destra e sinistra) e, inoltre, della strategia del “disinnesco”, usata sistematicamente sui quotidiani e nel mondo accademico.

Tale strategia, oltre a legittimare l’attuale “democrazia residuale”, ha, negli ultimi vent’anni, bloccato la formazione di un nuovo pensiero critico, dando invece origine a tristi “scolastiche” che non sono servite mai a criticare il presente e sempre a consolidare il potere accademico e a favorire il “blocco” dell’innovazione teorica.

Gli esempi sarebbero moltissmi e non occorre farli: ciascuno saprà riconoscerli nel suo microcosmo.

Come uscirne? Innanzitutto, abbandonando la “questione morale” e tornando a “fare politica” seriamente, anche attraverso la riproposizione di un “Partito Comunista” vero – lontano dal triste modello rappresentato soprattutto da Bertinotti e dai suoi seguaci (e su questo punto, concordo plenamente con Preve e con Losurdo!).

La parola “comunismo” va riproposta senz’altro e costituisce probabilmente l’unica arma contro i “soggetti oscuri” che si profilano all’orizzonte (e su questo punto dissento da Preve, che non ne auspica la ricostruzione per ragioni che qui non posso discutere).

La crisi attuale, che potrebbe avere conseguenze disastrose, può essere superata solo attraverso un’azione radicale innescata dal basso, ma che ha ovviamente bisogno di una direzione politica e non può essere del tutto spontanea – l’esempio degli “indignados” spagnoli lo chiarisce una volta per tutte.

Certo, sarà dura evitare che personaggi sinistri non si approprino illegittimamente delle proteste e delle nuove opzioni politiche per riportarle nell’alveo dell’attuale sistema oligarchico a sovranità limitata, come potrebbe facilmente avvenire qualora ci si affidasse unicamente allo spontaneismo.

Soprattutto, occorrerà fare chiarezza sulla distanza inequivocabile che un nuovo Partito Comunista dovrà mantenere non solo rispetto al PD11, ma anche a molti movimenti populisti che si sono diffusi negli ultimi tempi (dai “grillini” ai “girotondini”) che non hanno niente a che spartire con chi critica in forma radicale l’attuale sistema.12

Come ha rilevato Preve, a proposito dell’opposizione a Berlusconi prevalente oggi in Italia,

Si è scritto molto nell’ultimo ventennio a proposito delle insufficienze e della palese strumentalità
dell’anti-berlusconismo della Sinistra, ma raramente si è riusciti a cogliere il vero centro del
problema. In primo luogo, la personalizzazione esasperata nella polemica con l’avversario è
funzionale alla “sparizione” dell’analisi strutturale dei problemi, e questo ovviamente favorisce la
manipolazione dei dirigenti. Il vecchio PCI era in proposito un vero specialista. Ricordo che nei
vecchi festival dell’Unità c’era per la plebe un banchetto per il tiro alle palle ad un faccione di un
social-democratico (PSDI) di cui ora mi scuso di non ricordare il nome. Poi, quando fu il turno di
Craxi la personalizzazione giunse a livelli inauditi. Si era così formata una sorta di “lunga durata”
per cui la spinta alla personalizzazione esasperata dell’anti-berlusconismo è sempre stata una
preziosa risorsa ideologica “dall’alto”, ma in cui la spinta veniva certamente dal basso. Nei recenti
referendum del giugno 2011 l’interesse per l’acqua pubblica e la critica del nucleare veniva
prevalentemente dalla gioventù erroneamente considerata “apolitica” (erroneamente, perché quando
giunge l’ora la politicizzazione si forma in poche settimane travolgendo le vecchie forme abituali),
ma il quorum non sarebbe mai scattato senza il contributo dell’elettorato di mezz’età ed anziano del
vecchio PCI, riciclato in PDS-DS-PD. E questo elettorato si muove quasi esclusivamente sulla base
dell’anti-berlusconismo. E tuttavia non sta ancora qui il centro del problema. L’anti-berlusconismo
è stata la forma ideologica “strutturale” per poter effettuare la riconversione dalla vecchia forma
della narrazione storicistico-progressistica del vecchio PCI, divenuta obsoleta con la fine del
comunismo storico novecentesco, che bene o male era dipendente dall’esistenza partitica e statuale
degli stati del “socialismo reale” alle nuove esigenze della gestione politica della globalizzazione
finanziaria, che richiedevano due imperativi assoluti, l’omologazione liberista e la sottomissione
integrale agli USA ed alla Nato. Soltanto la fragilità psicologica e culturale del cosiddetto “popolo
di sinistra” può però spiegare la facilità con cui questa riconversione è stata effettuata
.13

 

Ovviamente mi assumo la reponsabilità della durezza della citazione, ma penso che sia bene finirla con il “políticamente corretto” data la situazione di estremo rischio di dissoluzione della democrazia “residuale” – rappresentata dal capital-parlamentarismo –che stiamo correndo. Non tutte le analisi di Preve sono condivisibili: tuttavia molte lo sono (e io le condivido) e credo l’autore sia molto onesto, come ho già detto, nel presentarle.

In Italia è forse possibile un cambiamento, ma a patto che si prenda coscienza del fatto che solo prendendo le distanze dalle proteste fittizie e dal moralismo di una super-classe fintamente di sinistra, sarà possibile rompere l’atonicità che caratterizza la nostra società.

La “sinistra” moderata (ammesso che si possa ancora chiamarla così) mediatica, filo-americana e neoliberista, è sicuramente nemica acerrima di qualsiasi pensiero critico e di qualsiasi filosofia seria e per questo va combattuta politicamente, senza tentennamenti, perché altrimenti non vi sarà nessuna possibilità di portare avanti un progetto politico alternativo.

Tornando alla questione dell’Italia come “mondo atono”, sembra abbastanza chiaro che molti fattori diversi contribuiranno a mantanerla tale, soprattutto in assenza di una consapevolezza critica complessiva del momento storico che stiamo vivendo.

Sicuramente l’“antiberlusconismo” – almeno nelle forme principali – è solo una cortina di fumo che impedisce di vedere il pericolo reale – ovvero le riforme strutturali disastrose per il paese imposte dall’Europa. Senza la “fedeltà a un evento”, per dirla con Badiou, unita alla capacità di “tenere (fermo) un punto” – potremmo anche dire: di individuare chiaramente i nemici principali da combattere – da questa crisi non si uscirà.

 

Conclusioni.

Se, come ha notato acutamente Preve,

Le attuali oligarchie finanziarie al potere non si limitano infatti a “proletarizzare” i ceti medi. Se li proletarizzassero, si potrebbe dire che ci vuole un partito comunista. Ma il processo che si svolge sotto i nostri occhi è ben più complesso e maestoso. In Cina, in India ed in Brasile (ed ora anche nei paesi arabi, con la cosiddetta “primavera araba”, che solo un inguaribile ingenuo potrebbe pensare abbia una natura rivoluzionaria, laddove si tratta della semplice presa del potere di una borghesia sunnita occidentalista) si sta formando finalmente una classe media globale, la cui parte superiore, alleata con le oligarchie finanziarie, eserciterà una funzione controrivoluzionaria di fronte alla quale i codini nobiliari del 1789 sembreran tutti dei Thomas Münzer. La parte inferiore dei ceti medi, numericamente di gran lunga prevalente, cadrà in questo nuovo “terzo stato”. Essa non ha bisogno di un partito comunista, e soprattutto non ha bisogno di portarsi dietro il sanguinoso contenzioso sul bilancio storico del comunismo novecentesco. Su questo Diliberto e Ferrero non saranno mai d’accordo, perché per il primo il più grande rivoluzionario è stato Lenin, e per il secondo Raniero Panzieri. Si pensa forse di poter “assemblare” Mauro Gemma e Marco Ferrando?14

 

In Italia nessuno sembra reagire contro questa “proletarizzazione”, né, a mio modo di vedere, sembra cercare di superare le antiche contrapposizioni interne alla sinistra radicale.

Per riassumere, direi che le possibilità che l’Italia passi ad essere un mondo “teso” ovvero, secondo la terminologia di Badiou, un mondo in cui è possibile un cambiamento radicale sono molto scarse: bisognerebbe che si presentasse un’occasione seria di un’unità delle sinistre, ma sotto ben altri auspici rispetto a quelli che sono gli attuali. La sudditanza nei confronti delle oligarchie finaziarie da un parte (PD) e la costitutiva difficoltà di costituire un fronte davvero unitario (Rifondazione Comunista, PdCI) dall’altra, rendono davvero improbabile un cambiamento a breve.

L’ignoranza diffusa (determinata dalla telecrazia, dall’asservimento degli altri media agli interessi delle oligarchie interne ed internazionali, dalla distruzione sistematica dell’istruzione pubblica…) costituisce un ulteriore fattore di “blocco” delle possibili alternative.

Ricette definitive non ne posso proporre, ma penso che una riflessione seria sulla necessità di individuare il “nemico principale” e sul concetto di “militanza” costituirebbero già un piccolo ma significativo passo in avanti; qualcosa è stato fatto (vedi il dibattito sulla ricostruzione di un Partito Comunista Unitario), ma molto resta ancora da fare. La massa dei pregiudizi da superare è enorme e forse ancora superiore a quelli individuati da Preve, peraltro ottimo conoscitore della storia del movimentismo italiano.

Il punto, lo ribadisco, dovrebbe essere quello di aprire al cambiamento una volta per tutte, abbandonando sia le antiche e perniciose polemiche interne, sia l’ambiguità di fronte alla sinistra moderata ormai irredimibile (almeno nella sua classe dirigente attuale).

Sottolineo ancora cinque punti, a mio avviso interessanti per ogni discussione a venire sulla possibilità di una cambiamento politico radicale in Italia.

 

  • a) La necessità di ripensare il comunismo al di là del “comunismo storico” – e su questo punto concordo con Preve – senza però abbandonare, per il momento almeno, il riferimento alla dicotomia destra/sinistra.

  • b) Approfondire il concetto di “generico” sviluppato da Badiou come punto di partenza per ripensare il rapporto tra individuo libero e società;

  • c) Cercare di comprendere il senso del “berlusconismo” ma da un punto di vista strettamente “politico” e non moralistico, mettendolo in rapporto con le scelte sciagurate operate dal PCI dopo l’’89;

  • d) Approfondire anche il tema dei rapporti tra “comune” e “ comunismo” senza alcuna preclusione nei confronti di tutti i contributi che possano venire dalla riflessione radicale attuale – Preve compreso!

  • e) Non trascurare il problema delle lotte locali e settoriali, mettendole però in relazione con obiettivi più generali (ovvero: contrasto duro nei confronti del capitale finanziario, estensione di nuove forme politiche più partecipative, sostegno del pubblico contro le “privatizzazioni”, ecc.).

 

Ora, vale la pena di ritornare al “quadro concettuale” rappresentato dalla formalizzazione teorica di Badiou.

Occorre qui ribadire che l’ho utilizzato liberamente, senza pretendere di applicarlo rigidamente alla situazione italiana; comunque sia, credo che sia utile come punto di riferimento per comprendere fino in fondo le pericolose tensioni che stanno attraversando il paese e che potrebbero portare all’apparizione di un “ soggetto oscuro”, le cui caratteristiche non mi sento per ora di delineare.

Quanto alla posizione di Preve, pur riconoscendo la sua difficile compatibilità col pensiero di Badiou – ma non è questo lo scopo del mio saggio – ho ritenuto opportuno citarla e approfondirla proprio perché Badiou non ha mai analizzato in profondità il caso italiano e pertanto il suo schema interpretativo generale aveva bisogno di una “implementazione” storica e fattuale.

Questa, in sintesi la mia modesta proposta per una futura discussione interna ed esterna alla rivista.

 

 

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Note con rimando automatico al testo

1 A. Badiou, Logique des mondes. Paris, Seuil, 2006, p. 64 (tr. nostra).

2 Ivi, p. 617 (tr. nostra). In una recente intervista, Badiou precisa il senso dell’impegno politico, della militanza. “nonfiction.fr : riferiscono tutto questo a una condizione essenziale.A. Badiou: È proprio così. Riferiscono questo a una condizione che non definirei trascendentale, ma piuttosto a una specie di condizione della possibilità di pensare questo ( l’evento, nota mia) senza che il contenuto possa essere immediatamente determinato. Diciamo che mi sento compatibile con tutto questo. Non fiction.fr: Ma lei sembra comunque difendere l’idea di una più grande determinazione del contenuto.A. Badiou: E’ un mio vizio, sono proprio come un vecchio militante. Comunque, bisogna che ciò abbia una realtà minima, che abbia un significato. Quando mi riunisco com quattro poerai clandestini in una centro di accoglienza, bisogna che si possa avere una percezione del rapporto tra questa riunione e il pensiero astratto. Ho bisogno che l’esperienza continui e attesti la realtà dell’ipotesi, sebbene sembri che ne sia molto distante. Io devo poter pensare, nel processo politico effettivo, per quanto localizzato sia, la sua omogeneità rispetto all’ipotesi. Ne ho bisogno per provare la validità dell’ipotesi stessa. L’ipotesi non è auto-sufficiente. Come direbbe un vecchio deputato che si presentasse alle elezioni, “ sono un uomo che lavora sul campo”, in www.non-fiction.fr, mars 2008 (tr. nostra).

3 Questo “soggetto oscuro” non è detto che coincida con Berlusconi o col suo movimento; potrebbe benissimo darsi che il “berlusconismo” sia stato la fase preparatoria e “virulenta” per qualcosa di molto più pericoloso e subdolo – un soggetto davvero “totalitario” in una forma inedita. Per una discussione più ampia dei processi di “soggettivizzazione politica” e del soggetto oscuro in Badiou, rimando al saggio di Alberto Toscano “The Bourgeois and the Islamist, or the other Subjects of Politics” in Cosmos and History. The Journal of Natural and Social Philosophy, vol. 2, n. 1-2, 2006, pp. 15-38.

4 Un passo, abbastanza esteso, tratto dall’ultimo seminario pubblico di Badiou permette di chiarire il senso dell’ “evento” e, insieme, l’“atonicità” della situazione italiana:

Diremo che un cambiamento-di-mondo reale quando un inesistente del mondo comincia ad esistere in questo stesso mondo con un’intensità massima. E’ proprio ciò che dicono le persona nelle manifestazioni popolari in Egitto : non esistevamo, e adesso esistiamo, possiamo decidere la storia del paese. E’ qualcosa che è dotato di una potenza straordinaria. L’inesistente prende consistenza. Ecco perché si parla di una sollevazione : si era distesi a terra, piegati, ci si alza, ci si eleva, ci si solleva. Questa « affermarsi in presenza  » è l’affermarsi in presenza dell’esistenza stessa : i poveri non sono diventati ricchi, le persone disarmate non si sono armate, ecc. In fondo nulla è cambiato. Ciò che è accaduto è proprio questa presa di consistenza dell’esistenza dell’inesistente, sotto la condizione di ciò che chiamo un evento. Sapendo tuttavia che, contrariamente all’affermarsi in presenza dell’esistenza, l’evento è quasi sempre elusivo. La definizione dell’evento come ciò che rende possibile l’affermarsi in presenza dell’inesistente è una definizione astratta ma incontestabile, semplicemente perché l’affermarsi in presenza è dichiarato , è immediatamente quello che le persone affermano essere. Che cosa si può osservare oggettivamente ? La determinazione di un luogo svolge un ruolo decisivo (una piazza del Cairo acquisisce una celebrità planetaria in pochi giorni). È molto interessante constatare che, nel caso di un cambiamento reale, vi è la produzione di un luogo interno alla localizzazione generale propria di un mondo. Così in Egitto, le persone riunite in piazza consideravano che l’Egitto erano loro stesse, l’Egitto erano quelle persone che si trovavano lì per affermare che se sotto Moubarak l’Egitto non esisteva, ora invece esisteva e loro insieme a lui. E in un certo senso, e questo è davvero straordinario, tutti lo riconoscono, nel mondo intero si ammette che queste persone rappresentano l’intero Egitto. Epppure tutto questo è così lontano dal dogma democratico del suffragio universale ! rassicuratevi : i manifestanti, alla fine, diranno che bisogna comunque tornare al voto. Ma questa metonimia dell’Egitto rappresentata dalle persone riunite sulla piazza Tahir, anche se sono un milione, non è ancora molto per un paese che conta 80 milioni di abitanti, e se avesse luogo una votazione, otterrebbero ben poco. Mentre questo stesso milione in un solo luogo, è qualcosa di enorme. Abbiamo avuto la situazione inversa alla fine del maggio 68 : milioni di manifestanti, scioperanti e nonostante ciò De Gaulle riesce a organizzare delle elezioni che danno origine a una camera impossibile fatta di reazionari. Mi ricordo dello stupore di un certo numero di amici che dicevano : « Ma se eravamo tutti in strada !». E io rispondevo loro : « No, non eravamo tutti in strada !».Il fatto è che, nonostante che una manifestazione sia molto grande, essa è sempre arciminoritaria. Un elemento di cambiamento reale è sempre simbolizzato da una monoranza che localizza la localizzazione : essa fa esistere, in un luogo interno alla localizzazione generale costituita dal mondo, il mondo stesso, è come un «  compattamento » in un punto, e, ri-insisto su questo, nessuno può negare che è proprio così. Questo prova che vi sono in questo caso un elemento di universalità prescrittiva, brusca, ancor prima che si possa parlare di sciopero, di occupazione di una fabbrica ( intesità attivista legata all’occupazione di un luogo) ». A. Badiou, « Que signifie « Changer le monde », notes de Daniel Fischer, disponibile sul sito www.entretemps.asso.fr/Badiou/seminaire.htm. ( tr. nostra). Come si può facilmente verificare, la figura del “ militante” in senso badiouano è del tutto assente dal panorama italiano.

5 Intervista politico-filosofica di Gabriele Repaci a Costanzo Preve, 2007, in www.petite plaisance.it

 

6 Può essere interessante leggere l’intervista a Losurdo pubblicata sul sito dell’Ernesto on-line, nella quale l’autore compie un’analisi dettagliata della contro-rivoluzione italiana per molti versi complementare alla mia.

7 A. Tosel, “Anti-polis: l’autoliquidation de la démocratie?”, in Marx au XXI siècle web. (tr. nostra). Il saggio di Tosel chiarisce anche la questione dell’ignoranza diffusa nelle “false democrazie” attuali, spesso favorita dalle ignobili “comparsate” di intellettuali organici al sistema mediatico e impegnati nel compito di “rendere torbide le acque”.

8 C. Preve, “L’indifferentismo di massa”, intervista con G. Tedeschi, in www.Comunismoecomunità.org., 2011.

9 In un primo momento, nel corso di un convegno tenutosi a Valencia nel marzo del 2011 sull’opera di Jacques Rancière, avevo proposto il concetto di “neutralizzazione” che però ho poi abbandonato, considerata la possibilità di possibili confusioni e sovrapposizioni col termine analogo schmittiano.

10 C. Preve, Intervista con G. Tedeschi, in www.Comunismoecomunità.org, 2011 Come precisa Preve in un altro scritto, “Stiamo andando verso una polarizzazione estrema verso un polo oligarchico, da un lato, ed un immenso e politicamente espropriato “terzo stato”, dall’altro. E tuttavia, le oligarchie sanno bene che è necessario un “cuscinetto di grasso” sociale fra i due poli, per evitare che possa verificarsi uno scontro diretto fra i pochissimi, ed i moltissimi abbandonati alla insicurezza della vita e al lavoro sottopagato, flessibile e precario. Fra le oligarchie e questo nuovo immenso “terzo stato” (che sarebbe improprio definire in termini di imborghesimento del proletariato o proletarizzazione della piccola borghesia, categorie sociologiche a mio avviso sorpassate) bisogna favorire la costituzione di un gruppo sociale che, sulla scorta della proposta linguistica di Eugenio Orso, definirei new global middle class (uso l’inglese perché è la nuova lingua dei padroni, come avvenne prima per il greco, poi per il latino ed infine per il francese). A questo nuovo gruppo sociale bisognerà pur sempre dare qualche privilegio, in modo che non si rivolti contro l’oligarchia. Su questo non ho le idee chiare. Se ci fossero ancora dei sociologi, io chiederei a loro, ma so bene che ormai Wright Mills e Christopher Lasch sono morti, e restano soltanto animali accademici tronfi ed autoreferenziali.” (C. Preve, “Ricostruire il partito comunista?”, in www.Comunismoecomunità.org, 2011). (Questa “nuova classe media globale” definita da Preve è caratterizzata, a mio avviso, da una nuova forma di ignoranza, la quale consiste soprattutto nella “perdita della prospettiva storica” e nella totale assimilazione al consumismo generalizzato, in una forma così profonda che ha portato a dei veri e propri fenomeni di de-soggettivazione, quando non addirittura a delle patologie di tipo borderline).

11 Come sottolinea Preve in una recente risposta a Vladimiro Giacchè sulla ricostituzione di un Partito Comunista unitario,

“Dal momento che non sono né un anarchico né un bordighista, per me è lapalissiano che è meglio essere rappresentati in parlamento che esserne fuori. Ma un conto è restarne fuori per vocazione estremistico-minoritaria e per dottrinarismo fondamentalistico, e un altro conto è essere costretti a restarne fuori per non sacrificare la propria ragion d’essere storica e strategica.

Se si tenta di fare un bilancio ragionato e non distruttivo dell’esperienza dei partiti comunisti novecenteschi, ci si accorge che un difetto strategico, particolarmente presente nel vecchio PCI, è quello di aver messo la tattica davanti alla strategia, fino al punto che quest’ultima si è identificata totalmente con la prima, con gli esiti noti alla Occhetto, D’Alema, Veltroni e Penati. Se può interessare, questa è la critica esplicitamente rivolta al PCI da Lukacs. Prego verificare.” (C. Preve: “Risposta a Vladimiro Giacchè, in www.comunismoecomunità.com, 2011).

Potremmo aggiungere che oggi, nel Pd, esiste solo la tattica, ed è una tattica profondamente sbilanciata a favore dei “poteri forti”, i quali peraltro dimostrano di non avere né tattica né strategia.

12 Certamente, la creazione di un nuovo Partito Comunista, ammesso che sia possibile, come io credo ancora che sia possibile, si dovrà scontrare con una resistenza interna straordinaria – mi riferisco agli attuali dirigenti di Rifondazione Comunista e del PdCI. Un altro ostacolo che si pone di fronte qualsiasi cambiamento a sinistra, purtroppo, è rappresentato da gran parte della generazione dei cinquanta-sessantenni, ormai del tutto omogenei e interni, come classe media (o medio-alta) di “consumatori”, al neoliberismo – al di là delle dichiarazioni pubbliche – e assolutamente non disposta a farsi da parte e nemmeno a dibattere liberamente sullo stato delle cose. Tuttavia occorrerebbe davvero misurarsi anche con Preve – e con molti altri pensatori che qui non ho citato – per poter meglio comprendere il senso della liquidazione di tutta la storia comunista del secolo passato.

13 C. Preve, “Intervista sul berlusconismo”, a cura di F. Tedeschi in Italicum, edizione web, 2011.

14 C. Preve, “Ricostruire il Partito Comunista”, cit. Sulla storia del Marxismo si veda dello stesso Preve Storia critica del marxismo. Napoli, Città del Sole, 2007.