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I modelli sono reali


Per comprendere, abitare e valutare lo spazio è cruciale riconoscerne l'aspetto temporale. Lo spazio non esiste semplicemente nel tempo: è fatto di tempo. Le azioni dei suoi utenti ricreano continuamente le sue strutture. Questa condizione spesso è dimenticata o rimossa, perchè la società occidentale si basa ancora sull'idea di uno spazio statico e indiscutibile. Anche gli interessi commerciali alimentano questa idea, perchè la gente ha capito che gli oggetti statici e gli spazi oggettivi sono più smerciabili delle loro controparti non stabili e non assolute.

Quando ciò che ci circonda appare stabile, noi tendiamo a perdere il senso di responsabilità per l'ambiente in cui ci muoviamo. Lo spazio diventa una sfondo interattivo piuttosto che un co-produttore di interazione. Ciò che avviene è di fatto un movimento doppio: l'interazione dell'utente con altre persone co-produce spazio che a sua volta è co-produttore di interazione. Concentrandoci sul nostro intervento in questo scambio critico è possibile portare in primo piano la nostra responsabilità spaziale. Negli ultimi 40 anni molti artisti e teorici hanno ripetutamente criticato la concezione statica dello spazio e degli oggetti. L'idea oggettuale è stata in parte sostituita da strategie performative, dalla nozione di effimero, di negoziazione e di scambio, ma ciò nonostante oggi l'atteggiamento critico è più pertinente che mai. Sembra necessario insistere su un'alternativa che riconosca il collegamento e la reciprocità fondamentali tra spazio e tempo e noi stessi. Poichè i modelli sono formati da due qualità fondamentali, tempo e struttura, un modo di prestare attenzione alla nostra co-produzione di spazio è un esame ravvicinato dei modelli.

Dato che gli oggetti in genere non sono statici, non lo sono neppure le opere d'arte. Queste esistono in molteplici relazioni che dipendono sia dal contesto in cui sono presentati, sia dalla varietà di risposte dei visitatori - o meglio degli utenti, un termine diverso che uso per prestare attenzione all'attività di chi vede. A partire dai primi anni 90, quando ero studente, nel dibattito critico-artistico abbiamo considerato il visitatore dei musei come parte dell'opera d'arte, una concezione che è essenziale nella mia attività di oggi. Per enfatizzare la negoziabilità delle mie opere, le installazioni e grandi progetti spaziali del genere, non cerco di nascondere gli strumenti tecnici su cui si basano. Io rendo la struttura accessibile ai visitatori, per farli concentrare sul fatto che ogni opera d'arte è o un'opzione o un modello. Quindi le opere d'arte diventano messinscene sperimentali, e le esperienze di queste non sono basate su un'essenza trovata nelle opere stesse, ma su un'opzione attivata dagli utenti.

In precedenza i modelli erano concepiti come fasi razionali verso l'oggetto perfetto. Il modello di una casa ad esempio, faceva parte di una sequenza temporale, come sviluppo particolareggiato dell'immagine della casa, mentre la casa reale e vera era considerata la finale e statica conseguenza del modello. Perciò il modello era puramente un'immagine, una rappresentazione della realtà, non reale di per se stessa. Noi non passiamo più dal modello alla realtà, ma da modello a modello perchè riconosciamo che entrambi i modelli sono di fatto reali. Come risultato possiamo lavorare in maniera molto produttiva con la realtà, sperimentata come un conglomerato di modelli. Piuttosto di vedere modello e realtà come modi polarizzati, essi ora funzionanao sullo stesso livello. I modelli sono diventati co-produttori di realtà.

I modelli esistono in varie forme e dimensioni: oggetti come la case e le opere d'arte sono un tipo, ma troviamo modelli di impegno, di percezione e di riflessione. Nella mia pratica di artista, lavoro sia con modelli analogici che digitali, modelli di pensiero e altri esperimenti che si sommano in un modello situazionale. Ogni modello mostra un diverso grado di rappresentazione, ma tutti sono reali. Abbiamo bisogno di riconoscere che tutti gli spazi sono intrisi di intenzioni politiche e individuali, relazioni di potere, e desideri che fungono da modelli di impegno con il mondo. Non c'è spazio che non possa essere rappresentato con un modello (modell-free). Questa condizione non rappresenta una perdita, come molti potrebbero pensare deplorando l'eliminazione della presenza non mediata. Al contrario, l'idea che il mondo consista di un conglomerato di modelli comporta un potenziale liberatorio, perchè rende possibile la rinegoziazione di ciò che ci circonda. A sua volta, ciò apre il potenziale per riconoscere le differenze tra due individui. Quello che abbiamo in comune è che siamo diversi. La concezione dello spazio come statico e chiaramente definibile, diventa allora insostenibile, e indesiderabile. Come agenti dell'incessante modellazione e rimodellazione di ciò che ci circonda e dei modi in cui interagiamo, noi possiamo sostenere l'idea di molteplicità e co-produzione dello spazio.

 

(traduzione di Andrea Bonavoglia,
pubblicato in appendice a It's your time, Olafur Eliasson!
)


Olafur Eliasson: Models are Real, pubblicato in: Abruzzo, Emily, Eric Ellingsen and Jonathan D. Solomon, Editors. Models, 306090 Books Volume 11. Preface by Olafur Eliasson, 18-25. New York: 306090, Inc., 2007.